Anna Maria Lorusso conclude la sua riflessione sul rapporto tra retorica e semiotica collocando al centro una questione decisiva: l’ideologia come forma normalizzata del senso. In questa prospettiva, la retorica non è più solo un repertorio di figure o un arsenale di strumenti persuasivi, ma una pratica interpretativa che, attraverso la semiotica della cultura, porta alla luce le norme implicite che regolano il discorso sociale.
Lorusso riprende la definizione lotmaniana della cultura come meccanismo di strutturazione del mondo e ricorda che, per Lotman, la semiotica è «la scienza della correlazione funzionale dei differenti sistemi segnici». Proprio per questo, afferma, il livello più adeguato per indagare tale correlazione è quello delle norme: è lì che si stabiliscono abiti cognitivi, percettivi, pragmatici e passionali; è lì che si costituiscono modelli di senso condivisi, cioè le forme profonde della semiosi sociale.
La retorica come analisi del già detto
Nel delineare questa visione, Lorusso si richiama alle analisi classiche di Roland Barthes e Umberto Eco. Già negli anni Sessanta, entrambi avevano messo in luce il nesso tra retorica e ideologia a partire dallo studio dei messaggi pubblicitari.
Barthes, nell’analisi del celebre annuncio della Pasta Panzani, parlava di “italianità” come valore connotato dalle immagini (peperoni, pomodori, tricolore). In quel caso, la retorica agisce come insieme di significanti connotatori, cioè come “volto significante dell’ideologia”. Analogamente, Eco analizza l’annuncio del sapone Camay rilevando una fitta rete di metonimie, antonomasie e campi topici che trasformano l’immagine pubblicitaria in argomento implicito, e l’implicito in ideologia.
La conclusione è chiara: laddove il discorso non esplicita i presupposti che lo fondano, si colloca sul piano ideologico. «La pasta Panzani non dichiara l’italianità», scrive Lorusso, «ma si basa sull’associazione abitudinaria pomodoro–Italia–Mediterraneo». Allo stesso modo, la crema Camay «non scrive niente di esplicito sul successo, ma basa il suo meccanismo sull’associazione normalizzata bellezza–ricchezza–successo».
Il ruolo narcotico delle norme
Attraverso questi esempi, Lorusso sottolinea un punto centrale: l’ideologia si annida nelle norme, nella naturalizzazione delle associazioni culturali, nella trasformazione del particolare in universale, dell’uso in norma. Con Eco, l’autrice afferma che vi è ideologia «laddove c’è narcotizzazione del percorso enciclopedico», cioè quando si dimentica l’origine soggettiva e situata dei discorsi, e si assume come “dato” ciò che è frutto di sedimentazione e selezione culturale.
È qui che la retorica può svolgere una funzione critica: non quella di denunciare l’ideologia attraverso un gesto esterno, ma di scomporre le norme, di rendere visibile ciò che il discorso dà per scontato, di disattivare il già detto per riattivare la riflessione. Questo lavoro, però, non può essere condotto da una retorica immanentista, focalizzata sul solo testo, ma da una retorica enciclopedica, che assume come oggetto l’intero spazio discorsivo e i suoi contesti sociali, culturali, storici.
La retorica come semiotica della cultura
In questo quadro, Lorusso propone una ridefinizione profonda della retorica contemporanea:
- Il campo di azione non è il testo, ma il discorso come rete di dipendenze fra testi e contesti;
- Il livello di analisi è enciclopedico, non sistemico;
- L’oggetto privilegiato è la norma, che va osservata in controluce, come struttura operativa che organizza i significati senza mai dichiararsi esplicitamente.
Le norme diventano così il punto di intersezione tra cultura e ideologia, tra la memoria condivisa e il potere simbolico. Esse reggono la coesione della comunità, ma al tempo stesso rischiano di oscurare le dinamiche di selezione e imposizione che le hanno generate.
Conclusione
La retorica, intesa in questo senso, non è una tecnica della persuasione ma un sapere critico dei luoghi comuni. È la disciplina che ci consente di leggere le forme di normalizzazione del senso e, al tempo stesso, di scardinarne l’evidenza. Non propone una società senza norme – ciò sarebbe ingenuo – ma invita a interrogare le abitudini che naturalizzano, a esplorare le pieghe dell’ideologia che si nascondono nel “già detto”, a rivelare l’ordito culturale che fa sembrare trasparenti i discorsi più opachi.
Riferimento bibliografico: Anna Maria Lorusso, Retorica e semiotica: per una riflessione sulle norme, in “RIFL”, 1/2015, pp. 162-173.