Nel terzo percorso teorico delineato da Guido Ferraro, la soggettività non è più pensata come dato individuale, ma come costrutto collettivo, culturalmente radicato e storicamente fondato. È questa l’eredità più innovativa della semiotica saussuriana e delle scienze sociali dell’inizio Novecento, in particolare della riflessione di Émile Durkheim.
Ferraro chiarisce fin da subito il cambiamento di paradigma: nella nuova prospettiva, ciò che è “soggettivo” non coincide con l’eccentricità individuale, bensì con l’elaborazione dialogica di una comunità. “Soggettivo”, in questo senso, diventa sinonimo di “culturalmente condiviso”. È proprio Durkheim, spiega Ferraro, a riformulare la prospettiva kantiana in chiave socioculturale, introducendo il concetto di “pensiero sociale”, ovvero un modo collettivo di costruire l’esperienza. In parallelo, Saussure attribuisce al linguaggio un ruolo costitutivo nei confronti del pensiero, conferendo ai sistemi semiotici una funzione organizzativa fondamentale: “l’universo del ‘pensabile’ corrisponde […] all’universo del ‘significato’”.
Questa visione porta a un rovesciamento teorico decisivo: ciò che si manifesta oggettivamente non è sufficiente per comprendere il senso. Occorre risalire a livelli soggettivi profondi, condivisi, istituzionalizzati. Ferraro nota che questa prospettiva è comune alla psicoanalisi e all’antropologia, le quali, pur partendo da presupposti differenti, convergono sull’idea che la realtà osservabile sia interpretabile solo attraverso strutture psichiche o culturali.
Un passaggio centrale del discorso è rappresentato dalla distinzione tra i livelli etic ed emic, concetti derivati dall’opposizione tra “fonetico” e “fonemico” e poi applicati in ambito etnologico. Ferraro ricorda come questa distinzione abbia permesso di superare una descrizione pseudo-oggettiva delle culture “altre”, portando alla luce la soggettività collettiva che struttura ogni esperienza sociale. A livello etic si collocano i dati concreti, oggettivamente variabili; a livello emic le strutture soggettive e stabili che ne fondano l’identità.
Significativo, a questo proposito, è l’esempio della fonologia: se i suoni prodotti da un parlante sono entità materiali, individuali e variabili (livello fonetico), essi acquistano senso solo se riferiti a una struttura soggettiva e condivisa (livello fonemico). Ferraro formula in modo paradossale, ma chiarissimo, il ribaltamento concettuale: “È una cosa oggettiva, dunque ognuno lo fa a suo modo!”; al contrario, “è soggettivo, dunque è uguale per tutti!”.
In sintesi, la soggettività saussuriana e durkheimiana è una costruzione culturale collettiva, fortemente codificata, che si pone come fondamento delle scienze umane. È il quadro teorico che consente di riconoscere i sistemi semiotici come strumenti di produzione del senso condiviso e di comprensione del mondo.
Riferimento bibliografico: Cinque tipi di soggettività in semiotica, Guido Ferraro