Nel dibattito teorico che collega semiotica, retorica e norme, Anna Maria Lorusso invita a ribaltare una rappresentazione consolidata: quella che vede la retorica come arte dello scarto, della deviazione, dell’eccezione. In realtà, afferma, la retorica può e deve essere letta anche come disciplina delle regolarità, come sapere che si nutre della sedimentazione e del consolidamento degli usi linguistici.
Un primo indizio in questa direzione viene da Saussure, nel suo Rapporto sulla creazione di una cattedra di stilistica. Il linguista ginevrino suggeriva che la stilistica dovrebbe studiare i mezzi di espressione della langue «nella misura in cui rientrano nella categoria di fatti sociali», e dunque come fenomeni collettivi e codificati, non come semplici manifestazioni individuali.
Lorusso propone di sostituire ai termini “stilistica” e “linguistica” quelli di retorica e semiotica: la prima per includere anche gli aspetti semantico-argomentativi (come i luoghi comuni), la seconda per andare oltre il linguaggio verbale e abbracciare ogni tipo di codice culturale.
Oltre lo scarto: la regolarità come principio retorico
Sebbene nella tradizione la retorica abbia insistito sulle deviazioni (basti pensare alla metafora in Aristotele come allontanamento dal significato “proprio” o kurion onoma, oppure alle metabole del Groupe µ), Lorusso sottolinea che si tratta solo di una prospettiva parziale. Esiste un’altra retorica, che guarda alla formazione dello standard, alla normalizzazione degli usi, alla stratificazione del linguaggio. La retorica, insomma, si muove nello spazio dell’uso comune, dei discorsi accettati da una certa comunità.
Secondo la lezione di Coseriu, anche i significati lessicali non si danno in astratto, ma emergono da atti di parole ripetuti, che vengono normalizzati e talvolta assorbiti nel sistema (si pensi alle metafore catacresizzate). Ecco perché Lorusso sostiene che la retorica ha a che fare con gli endoxa, cioè con quel sapere doxastico, comune, non apodittico, che fonda ogni discorso persuasivo e ogni pratica ideologica.
Topoi e modelli: la retorica come sapere degli schemi
L’articolazione più potente di questa retorica delle regolarità si ritrova nei topoi, riserve argomentative già formalizzate, veri e propri modelli discorsivi. L’autrice ricostruisce la genealogia della topica, da Aristotele a Cicerone e Quintiliano, fino alle elaborazioni più moderne.
Nella Retorica di Aristotele i topoi erano schemi vuoti, relazioni argomentative da applicare: il topos dei contrari, dei rapporti reciproci, delle proporzioni. Successivamente, attraverso Cicerone e Quintiliano, i topoi si sono riempiti semanticamente, trasformandosi in capitoli di discorso, in scene culturali (ad esempio il locus amoenus), rilevanti all’interno di una determinata comunità. Come scrive Lorusso, i topoi sono «modelli per strutturare il discorso che corrispondono ad associazioni di idee invalse, pertinentizzazioni socialmente rilevanti».
Un esempio estremo di questa funzione dei topoi è fornito da Emmanuelle Danblon. Raccontando l’esperienza indicibile di una deportata, Danblon mostra come la figurazione retorica serva a stilizzare il mondo, a riconfigurare la realtà, offrendo senso laddove il linguaggio si arresta. Anche nei casi più ordinari, però, osserva Lorusso, «tutti noi produciamo continuamente semiosi ricorrendo a modelli semantici, narrativi, argomentativi che sono già provati».
Prassi enunciativa e norme interiorizzate
Questa regolarità semiotica si lega a una nozione fondamentale della semiotica generativa: quella di prassi enunciativa, intesa come insieme di memorie discorsive sedimentate nella comunità. Si tratta di forme impersonaliche operano come primitivi discorsivi, come “materiale” pre-strutturato a cui ogni nuovo atto di parole attinge.
È un sapere normativo nel senso più profondo: non è astratto né apodittico, ma relativo al contesto socio-culturale. È il sapere che funziona «in relazione a un certo spazio-tempo», quello che potremmo chiamare doxastico, fondato sulla memoria e sull’abitudine. È da questa base comune che prende forma ogni strategia retorica, ogni ricorso a immagini, figure, argomenti condivisi.
Conclusione
Attraverso questa rilettura, la retorica non appare più come un sapere dell’eccezione, ma come una forma di semiotica della cultura, che analizza le regolarità discorsive, i modelli comuni, gli habitus che strutturano la comunicazione. I topoi non sono solo strumenti di persuasione, ma modelli di pensiero e figurazione, indispensabili per rendere familiare il nuovo e per organizzare l’esperienza collettiva.
Riferimento bibliografico:
Anna Maria Lorusso, Retorica e semiotica: per una riflessione sulle norme, in “RIFL”, 1/2015, pp. 162-173.