Nel quarto percorso teorico tracciato da Guido Ferraro, la soggettività non è soltanto un dato costitutivo della disciplina semiotica, ma diventa essa stessa il suo oggetto di studio. Questo orientamento trova una formulazione chiara e sistematica nel pensiero di Luis Prieto, che Ferraro pone al centro di una svolta epistemologica importante: la definizione della semiotica come scienza della soggettività socialmente costituita.
Secondo Prieto, ripreso puntualmente da Ferraro, la semiotica non studia oggetti nella loro realtà autonoma, ma il modo in cui punti di vista socialmente determinati organizzano e interpretano tali oggetti. Ferraro lo sintetizza così: “la semiotica, in effetti, non studia altro che punti di vista socialmente costituiti”.
Un elemento cruciale in questa visione è il principio di pertinenza. Come scrive Prieto (1975, p. 69), l’identità degli oggetti non risiede nelle loro proprietà oggettive, ma dipende da un punto di vista specifico che seleziona, interpreta, organizza. Questa pertinenza è introdotta da un soggetto che è sempre un soggetto sociale (ibidem, p. 126): ne consegue che nessuna conoscenza può essere “neutra” rispetto al contesto culturale che la produce.
Prieto distingue nettamente tra scienze della natura e scienze umane. Le prime si occupano di oggetti concreti (una particella subatomica, un corpo celeste), le seconde studiano i modi in cui gli esseri umani organizzano rappresentazioni soggettive e condivise del reale. Così, ad esempio, la fonetica appartiene alle scienze naturali (analizza i suoni come fenomeni fisiologici e acustici), mentre la fonologia è una scienza umana (studia il modo in cui una cultura struttura quei suoni e li trasforma in significati).
Ferraro spiega che le scienze umane si collocano su un piano “meta”: non si limitano a descrivere fenomeni, ma descrivono modi di conoscenza. Sono, per definizione, “conoscenze di conoscenze”.
L’ideale della semiotica, in quest’ottica, non è quello di produrre un’analisi oggettiva dei testi, ma di cogliere il sistema di rappresentazioni soggettive che li configura in un dato universo culturale. Un semiotico della narrazione, ad esempio, non studierà un testo come oggetto fisico, ma come prodotto di un sistema culturale di configurazione del senso e dei valori.
Ferraro fa notare che questa impostazione, lungi dal rendere la semiotica più “soggettiva”, la rende invece più rigorosa, perché ne definisce con precisione l’oggetto epistemico: la soggettività istituzionalizzata e collettiva. Di fronte all’accusa ricorrente secondo cui la semiotica sarebbe “troppo soggettiva”, Ferraro ribatte con un paradosso: quanto più si cerca l’oggettività nei testi, tanto più l’analisi rischia di apparire arbitraria; quanto più si analizza la soggettività condivisa che li struttura, tanto più l’analisi assume statuto scientifico.
“Quanto più l’analisi semiotica dichiara di porsi di fronte a ‘oggetti’, […] tanto più rischia l’accusa di soggettività”.
L’autore conclude osservando che anche sociologi e psicologi, quando analizzano testi pubblicitari o prodotti culturali, non cercano un senso oggettivo, ma la percezione soggettiva condivisa in una comunità. Ed è qui che la semiotica può rivendicare, con Prieto, il suo posto tra le scienze umane: non per sfuggire alla soggettività, ma per farne il proprio campo di indagine.
Riferimento bibliografico:
Cinque tipi di soggettività in semiotica, Guido Ferraro