Denis Bertrand riflette sulla specificità della letteratura all’interno del campo del discorso e sul suo doppio legame con la lingua e la cultura. Egli osserva che la letteratura si colloca in una posizione di tensione tra lingua e cultura, e che il suo carattere distintivo consiste proprio nell’attivare una funzione di distanziamento e di rinnovamento nei confronti di entrambe. Il letterato, scrive Bertrand, è colui che «vede la lingua»: egli coglie simultaneamente il suono e il senso, il ritmo, la sintassi e le immagini, e trasforma la lingua in una «specie di lingua straniera», come affermava Proust. L’opera letteraria, infatti, non si limita a utilizzare la lingua, ma la mette in crisi, la “mette fuori fase”, imponendole nuove possibilità.
In questa prospettiva, Bertrand propone di leggere la letteratura come un dispositivo critico nei confronti della lingua: lo scrittore è colui che sa farsi straniero nella propria lingua, sviscerandone potenzialità inedite. Questo processo di alienazione e reinvenzione è ciò che conferisce alla letteratura la sua funzione epistemica: essa non riflette semplicemente il mondo, ma lo costruisce, lo interroga, ne mette in discussione i presupposti e le rappresentazioni. Così la letteratura diventa anche uno spazio di riflessione sul linguaggio stesso, uno spazio in cui la lingua diviene oggetto di esplorazione e sperimentazione.
Ma oltre al rapporto con la lingua, Bertrand pone l’accento sul rapporto fra letteratura e cultura. La letteratura è «archivio» e «cantiere» della memoria collettiva, luogo in cui si depositano e si trasformano le rappresentazioni condivise, i valori, i miti, i modelli d’azione e di passione. Essa si fa mezzo di trasmissione dei contenuti mitici e assiologici, dei modi d’essere e dei modi di fare di una comunità. Per questo motivo, le opere letterarie possono essere interpretate come «forme di organizzazione discorsive del senso e dei valori», che agiscono producendo inclusioni ed esclusioni, come nel caso del “buon” o “cattivo” gusto.
Bertrand si sofferma poi sulla proliferazione dei metadiscorsi che accompagnano la letteratura: la critica, la filologia, la critica genetica, biografica, sociologica e psicoanalitica. Tutti questi approcci, seppur differenti, testimoniano la molteplicità di sguardi sul testo e l’impossibilità di esaurirne il senso. Di fronte a questa pluralità, la semiotica si distingue per la sua scelta metodologica: anziché partire da nozioni tradizionali come personaggio, atmosfera, stile o genere, essa «fa piazza pulita» di questi “dati di fatto” evidenti, per sospendere il giudizio e ripensare criticamente le categorie stesse dell’analisi.
Bertrand insiste su questa sospensione come tratto metodologico essenziale: il semiologo rifiuta, almeno provvisoriamente, i concetti ereditati dalla tradizione descrittiva, per ritrovare strumenti fondati su una teoria generale del linguaggio. Così facendo, la semiotica letteraria reinserisce la letteratura nella sua relatività culturale, rinunciando a ogni essenzialismo e assumendo la storicità delle forme come condizione della loro intelligibilità. L’approccio strutturale, lungi dal negare la storicità, permette anzi di «tracciare una storia culturale delle forme», che si fonda su durate differenti rispetto alla semplice cronologia dei movimenti letterari.
Riferimento bibliografico: Denis Bertrand, Basi di semiotica letteraria, Meltemi Editore, 2002.