Che cos’è la semiotica (3)
La semiotica è, almeno sul piano accademico, una disciplina giovane. Ha trovato una propria configurazione negli anni Sessanta del Novecento, grazie ai contributi decisivi di Roland Barthes, Algirdas Julien Greimas e Umberto Eco. Nei decenni successivi, in particolare negli anni Ottanta, si è sviluppata in molteplici direzioni, dando vita a diverse articolazioni: una semiotica della letteratura, della pittura, del teatro, della musica, e così via.
Tuttavia, la storia del concetto di segno — fondativo per la semiotica — è ben più antica e complessa. I termini symbolon, semeion e tekmerion compaiono già prima di Aristotele, soprattutto nell’ambito delle pratiche divinatorie. Platone, nel Timeo, utilizza il verbo semaino per esprimere il modo in cui i segni divinatori “indicano un male o un bene futuro”, facendo riferimento a significati non immediatamente evidenti e trasmettendo all’uomo delle verità.
In Aristotele, i segni linguistici e quelli non linguistici sono distinti: i primi sono detti symbolon, i secondi semeion o tekmerion. Tuttavia, queste distinzioni contribuiscono già allora a delineare i contorni del campo semiotico, che sarà unificato solo con Agostino, il quale sussume il segno linguistico sotto una categoria generale di segno.
Nonostante il valore di queste anticipazioni, la complessità della loro trattazione richiederebbe un’indagine storica a parte. È quindi preferibile concentrarsi sulle coordinate fondamentali che la semiotica ha assunto nel Novecento, senza addentrarsi nella genealogia della disciplina.
La svolta decisiva, come già detto, è avvenuta negli anni Sessanta e Settanta, periodo in cui la semiotica si è istituzionalizzata come campo di ricerca. In quegli anni ha definito un proprio vocabolario e stabilito i limiti entro cui riconoscersi. Umberto Eco, nel Trattato di semiotica generale (1975), ha posto la questione delle “soglie” della semiotica, cioè dei suoi confini inferiori e superiori. Ha evidenziato il rischio di un “imperialismo semiotico” che avrebbe incluso ogni cosa, dai più elementari stimoli percettivi fino ai più complessi costrutti culturali.
Nel tempo, queste soglie si sono ulteriormente problematizzate, man mano che nuove ricerche si sono approfondite. Ne sono esempio gli studi sulla percezione e sulle basi corporee del linguaggio, quelli etnografici sull’efficacia simbolica o quelli geopolitici sulla costruzione simbolica del territorio. In questi sviluppi, la semiotica si è spesso trovata a dialogare con ambiti come la psicologia cognitiva, l’antropologia culturale, la geografia.
Pur nella varietà delle sue applicazioni, la semiotica conserva un’identità definita: è la disciplina che studia i processi di significazione, cioè i modi in cui si attribuisce senso al mondo — attraverso il linguaggio, la musica, la pittura, le danze, i riti, la pubblicità. Non possiede un oggetto specifico, ma uno sguardo e un metodo propri: la sua specificità risiede nella modalità con cui analizza i fenomeni, non nella loro natura.
Forte delle sue assunzioni epistemologiche — come la natura sempre interpretativa dell’attività cognitiva o la struttura narrativa del senso — la semiotica si distingue per un metodo che le consente di aprirsi a un dialogo interdisciplinare con la linguistica, la retorica, la sociologia, gli studi sui media e sulla comunicazione.
La crescita e la complessificazione della disciplina ci obbligano ad avere maggiore attenzione al suo metalinguaggio e alle trasformazioni concettuali che ne hanno accompagnato l’evoluzione. È fondamentale individuare alcune categorie chiave — come Segno, Interpretazione, Testo, Immagine — che possano costituire degli accessi privilegiati al sapere semiotico. Queste categorie non esauriscono certo il campo: si pensi a Narratività, Comunicazione, Codice; ma hanno il pregio di essere particolarmente fondanti e, allo stesso tempo, di aprire a molte altre aree di indagine.
Anche grazie a questi punti d’accesso è possibile attraversare il sapere semiotico in modo trasversale, indipendentemente dagli approcci metodologici oggi disponibili. Con lo sviluppo della disciplina, infatti, si sono delineate diverse scuole e specializzazioni che ne hanno arricchito la fisionomia iniziale.
Tra le principali scuole si distinguono quella generativa — di origine francese, derivata dallo strutturalismo di Greimas — e quella interpretativa, che con Umberto Eco ha riscoperto le radici filosofiche della disciplina, valorizzando le ricerche di Charles Sanders Peirce. Questi due orientamenti restano tutt’oggi centrali nel panorama teorico e metodologico della semiotica contemporanea.
Accanto alle scuole, si sono moltiplicati anche gli indirizzi specialistici: la semiotica delle passioni, la semiotica visiva, la sociosemiotica, solo per citarne alcuni. Le categorie fondamentali consentono di attraversare questi indirizzi, verificandone strumenti, efficacia e apertura.
Infine, lo sviluppo della semiotica va compreso anche nella sua dimensione operativa. Come per l’etnografia o l’archeologia, il lavoro sul campo è essenziale: è lì che nuove concettualizzazioni emergono e vengono messe alla prova, ed è lì che la disciplina cresce e i suoi confini si ridefiniscono.
Lo spazio d’indagine della semiotica si configura oggi come un territorio mobile, sospeso tra filosofia ed etnografia del senso. Comprendere la sua identità significa quindi non solo ricostruirne il lessico e gli orientamenti principali, ma anche riconoscere l’articolazione dinamica del suo sviluppo e delle sue pratiche.
Riferimento bibliografico: Gianfranco Bettetini, Omar Calabrese, Anna Maria Lorusso, Patrizia Violi, Ugo Volli, Introduzione alla semiotica, in Semiotica, a cura di Anna Maria Lorusso.
