Come si comporta un sistema semiotico di fronte all’irruzione dell’imprevisto? È possibile pensare l’azione enunciativa come risposta immanente agli eventi? A partire da queste domande, Alessandro Zinna esplora la relazione tra immanenza, enunciazione e trasformazione, interrogando la tenuta del concetto anche nei momenti in cui il senso si riorganizza a fronte di mutamenti inattesi.
In una prima accezione greimasiana, l’enunciazione è definita come passaggio dalle strutture narrative al discorso. Essa si iscrive quindi nel dominio dell’enunciazione enunciata, completamente interna alla costruzione metalinguistica e, perciò, integralmente immanente.
Diversa è l’ipotesi della praxis enunciativa, che tiene conto degli aspetti pragmatici legati all’atto stesso del produrre, nel momento in cui si produce, e in rapporto alla posizione del corpo nel campo percettivo. Questa prassi non si oppone all’immanenza, né la esaurisce: costituisce il passaggio stesso dall’immanenza alla manifestazione.
Zinna osserva che è proprio nella praxis enunciativa che si ha l’emergere di fenomeni di riprogrammazione del progetto immanente. Tali riprogrammazioni si attivano in presenza di interazioni percettive, di scambi intersoggettivi, o ancora, di eventi o scenari imprevedibili. L’azione significante si adatta, mutando le sue finalità, la sua prasseologia, o la forma stessa dell’atto comunicativo. In questo senso, l’imprevisto agisce come forza trasformativa interna al sistema: costringe la struttura a mutare, ma lo fa secondo logiche che restano immanenti.
La distinzione tra enunciazione enunciata e praxis enunciativa corrisponde a due differenti modi di concepire il discorso:
- da un lato, un modello fondato su una programmazione preventiva e gerarchica dell’azione;
- dall’altro, un modello che valorizza l’improvvisazione, la reazione e l’adattamento agli imprevisti.
Zinna sostiene che l’azione in risposta all’imprevisto può dirsi sensata solo se si ammette che la riprogrammazione è una risposta immanente all’imprevedibilità dell’evento situato. L’immanenza, dunque, non scompare: viene ridefinita come capacità interna di riorientare il senso, nei limiti e secondo le regole del sistema.
Questa ridefinizione implica anche un ripensamento del rapporto tra immanenza e modi di esistenza. L’opposizione non è più tra immanenza e trascendenza, ma tra immanenza e manifestazione. Zinna, riprendendo Greimas e Hjelmslev, propone una stratificazione dei modi di esistenza:
- Virtuale: ciò che è possibile nel sistema;
- Attuale: ciò che è strutturalmente disponibile;
- Realizzato: ciò che si manifesta concretamente.
Solo i primi due — virtuale e attuale — appartengono al piano dell’immanenza. La manifestazione è invece dell’ordine della realizzazione. Rinunciare al concetto di immanenza, senza distinguere tra queste accezioni, significa mettere in crisi l’intera articolazione dei modi di esistenza semiotici, che rappresentano una delle conquiste teoriche fondamentali della semiotica strutturale.
Nella conclusione del suo intervento, Zinna rivendica la necessità di conservare il concetto di immanenza come costruzione metalinguistica, strumento necessario alla descrizione. Se l’immanenza è il piano del progetto, e la manifestazione è il suo compiersi nel discorso o nella percezione, allora ogni improvvisa variazione di senso resta leggibile solo se si conserva questa distinzione.
In ultima analisi, «voler dismettere l’immanenza del senso equivale a dismettere l’orientamento del pensare». L’immanenza, in quanto apertura al divenire, resta il luogo in cui il senso si costruisce — anche, e soprattutto, quando l’imprevisto costringe a ricominciare.
Riferimento bibliografico:
Alessandro Zinna, Il primato dell’immanenza nella semiotica strutturale, pubblicato in rete il 16 luglio 2008.