Il corpo, secondo Maurice Merleau-Ponty, non è un oggetto tra gli altri. È, piuttosto, un “insieme di significazioni vissute che va verso il suo equilibrio”. Con questa formula, contenuta nella Phénoménologie de la perception (1945), il filosofo francese rompe con la tradizionale separazione cartesiana tra corpo e mente, sostenendo che la percezione e la corporeità sono la condizione originaria di ogni forma di conoscenza.
Nel recuperare l’eredità husserliana del Leib — il corpo vissuto, personale, contrapposto al Körper, oggetto fisico della conoscenza scientifica — Merleau-Ponty fonda una prospettiva in cui il corpo non è un semplice dato biologico, ma un vero e proprio strumento di accesso al mondo. Non si tratta solo di superare il dualismo, ma di ribaltarlo: la conoscenza non nasce da una mente astratta che osserva un mondo esterno, ma da un corpo situato, coinvolto, agente.
Simona Stano evidenzia come questa impostazione abbia conseguenze decisive per la teoria semiotica. Il corpo non è soltanto significato, ma anche soggetto interpretante. È al tempo stesso forma organizzatrice e sostanza, oggetto e soggetto della significazione. In questa duplice condizione si colloca la sua funzione semiotica: il corpo partecipa attivamente ai processi di costruzione del senso — del mondo, degli altri, di se stesso.
Questa centralità apre un campo d’indagine vasto e fertile. La studiosa richiama, ad esempio, il problema della relazione tra sensorialità e cognizione, le pratiche culturali di scrittura del corpo, le rappresentazioni collettive e i codici che (re)semantizzano la corporeità. Il corpo non è quindi solo un punto d’ingresso nella semiosi, ma una vera soglia tra il sensibile e l’intelligibile, il biologico e il culturale, l’individuale e il collettivo.
Senza ambire a una trattazione esaustiva, Stano si propone di riflettere sulle potenzialità e i limiti della semiotica in relazione alla corporeità. In che misura, e con quali strumenti, la scienza dei processi di significazione può rendere conto del corpo? E come descrivere quei luoghi in cui il corpo si manifesta come un testo da leggere, interpretare, trasformare?
Alla luce di queste domande, l’approccio fenomenologico appare non solo compatibile, ma strutturalmente affine alla prospettiva semiotica. Entrambe le discipline assumono la soggettività corporea non come oggetto da spiegare, ma come condizione di possibilità del senso.
Riferimento bibliografico: Simona Stano, La soglia del senso. Il corpo come istanza semiotica, in «Il programma scientifico della semiotica», ottobre 2019, pp. 147–160.