Nel rileggere il Trattato di semiotica generale, Stefano Traini si sofferma su uno dei nuclei più emblematici e al tempo stesso problematici dell’opera di Umberto Eco: la definizione di semiotica come “teoria generale della cultura”.
Il titolo stesso dell’introduzione — Verso una logica della cultura — risulta, secondo Traini, particolarmente evocativo e ancora attuale. La proposta di Eco, in quel contesto, è di concepire la semiotica non come disciplina strettamente delimitata da oggetto e metodo, ma come campo di studi che abbraccia l’intero spettro dei fenomeni culturali.
Traini ricorda che già Anna Maria Lorusso e Pierluigi Basso – nell’ambito dello stesso dibattito sull’eredità del Trattato – avevano segnalato il legame con Jurij Lotman, figura chiave nella cultura russa, che proprio in quegli anni Eco contribuiva a far conoscere in Italia attraverso la traduzione delle sue opere. Il pensiero lotmaniano, sottolinea Traini, è chiaramente percepibile come influenza su questa concezione estesa della semiotica.
Tuttavia, Traini individua un nodo problematico in un passaggio centrale dell’introduzione, che riguarda la questione epistemologica dello statuto della disciplina. Eco si chiede se la semiotica debba essere intesa come disciplina autonoma, dotata di un proprio oggetto e di un proprio metodo, oppure come un campo non ancora (e forse non del tutto) unificato, in cui convivono interessi molteplici e prospettive divergenti.
A fronte di questa alternativa, Traini esprime una preferenza netta:
“Il mio imprinting hjelmsleviano mi farebbe propendere per l’ipotesi della disciplina con un metodo riconoscibile, con delle procedure, con un metalinguaggio”.
In altre parole, Traini rivendica una concezione scientifica e formalizzata della semiotica, in linea con la lezione del linguista danese Louis Hjelmslev. Eco, invece, dichiara la propria preferenza per la definizione più ampia e inclusiva di “campo semiotico”, caratterizzato da una varietà di approcci e da un certo grado di disordine.
Traini osserva però che, subito dopo, Eco non rinuncia del tutto alla speranza di proporre “un metodo unificato per lo studio di fenomeni che apparentemente differiscono gli uni dagli altri”. Questa tensione — tra apertura enciclopedica e desiderio di coerenza metodologica — percorre tutto il Trattato ed è al centro anche delle discussioni che, nota Traini, sono emerse durante la stessa tavola rotonda tra studiosi come Guido Ferraro e Francesco Marsciani.
Dal punto di vista di Traini, è essenziale che una teoria semiotica tenda comunque al “controllo intersoggettivo delle procedure e dei risultati”. È questa esigenza metodologica che distingue, a suo avviso, una disciplina scientificamente fondata da un semplice insieme di interessi culturali.
Fonte: Stefano Traini, Tavola rotonda sull’eredità del “Trattato di semiotica generale” di Umberto Eco, organizzata in occasione del XXXIV congresso dell’Associazione Italiana di Studi Semiotici (AISS) nel 2006.