Con Ferdinand de Saussure si afferma per la prima volta l’idea che i sistemi di significazione, oggetto della futura semiologia, possano essere studiati come sistemi autonomi, da analizzare dal punto di vista della langue — cioè della dimensione sociale del linguaggio — e da una prospettiva sincronica, ovvero astratta rispetto all’evoluzione storica.
Si tratta di un approccio intralinguistico, in quanto non implica il ricorso ai referenti del mondo esterno. Al centro della riflessione saussuriana si colloca il concetto di valore, secondo cui i segni non si definiscono per un significato intrinseco, ma per la loro funzione differenziale e oppositiva all’interno del sistema. Il segno è ciò che è in relazione ad altri segni, e il significato nasce da un sistema di opposizioni.
Questa impostazione segna una rottura epistemologica con la tradizione linguistica precedente, che si era concentrata sugli aspetti fisiologici o storico-comparativi del linguaggio. Tale rottura viene pienamente accolta e sistematizzata da Louis Hjelmslev, il quale amplia l’orizzonte saussuriano, considerando la lingua come una struttura autonoma fatta di relazioni interne. L’obiettivo di Hjelmslev è identificare costanti strutturali nel piano immanente dei segni, da distinguere rispetto al loro livello manifesto. La distinzione tra questi due piani — appena accennata in Saussure — diventa in Hjelmslev un presupposto fondamentale per la teoria semiotica.
Sarà Algirdas Julien Greimas a riprendere questa distinzione come fondamento teorico per la sua costruzione di una semiotica generativa. Secondo Greimas, è necessario descrivere il piano del contenuto dei linguaggi a partire dal livello immanente, organizzando la produzione del senso attraverso un modello a più livelli, dal più astratto al più concreto, dal più profondo al più superficiale.
In questa tradizione strutturale, dunque, il senso non è dato direttamente dall’esperienza referenziale, ma è generato da un sistema, e l’oggetto di studio della semiotica è costituito da strutture interne, non da rappresentazioni del mondo.
L’approccio strutturale si caratterizza pertanto per tre tratti distintivi:
- È intralinguistico, in quanto non dipende dal referente esterno.
- È immanente, perché si concentra sul funzionamento interno dei sistemi significanti.
- È stratificato, poiché concepisce l’oggetto semiotico come articolato in più livelli formali.
Questo impianto teorico, raccolto in forma sistematica da Greimas, sarà alla base della svolta semiotica che caratterizzerà anche gli sviluppi successivi della disciplina.
Riferimento bibliografico: Stefano Traini, Le due vie della semiotica: teorie strutturali e interpretative