Gianfranco Marrone riflette sul debito che il pensiero di Bruno Latour intrattiene con la semiotica. Latour ha lavorato a stretto contatto con studiosi come Paolo Fabbri e Françoise Bastide, applicando modelli semiotici consolidati — in particolare quelli dell’enunciazione e della narratività — alla sociologia della scienza e all’etnografia della tecnica. Non si tratta soltanto di una questione metodologica: Marrone sottolinea come Latour abbia interiorizzato la mentalità epistemologica strutturale propria della semiotica, assumendo la tendenza a pensare i concetti in modo sistemico e a privilegiare l’analisi delle forme rispetto alle sostanze.
Uno degli aspetti più emblematici di questo approccio, osserva Marrone, è l’abitudine tipicamente semiotica di “dare il caso”: partire cioè da situazioni concrete, spesso minuziose, per disimplicare la teoria che le informa. È questa l’origine della Actor-Network Theory, fondata sull’abolizione della distinzione tra umani e non umani, ispirata direttamente alla teoria attanziale e alla semiotica degli oggetti.
Tuttavia, Latour non ha mancato di rivolgere alcune critiche alla semiotica. In particolare, nel suo libro Non siamo mai stati moderni, afferma che, sebbene la semiotica disponga di un kit teorico raffinato e concepisca il linguaggio come mediatore tra natura e società, essa fallisce proprio nel momento in cui esclude dalla sua analisi tanto i referenti (cioè il lato della natura) quanto i soggetti locutori (cioè il lato della società). Così facendo, il linguaggio diventa un’entità chiusa e autonoma, perdendo la sua funzione di intercessione tra i due assi.
Secondo Latour, i cosiddetti “quasi-oggetti” della politica e gli “ibridi” della scienza — entità al tempo stesso reali, discorsive e sociali — sono esseri eminentemente semiotici. Perciò la semiotica sarebbe la disciplina più adatta a manipolarli e analizzarli, a patto di abbandonare la pregiudiziale esclusione dei soggetti discorsivi e degli esseri reali, riconoscendoli anch’essi come entità testuali, quindi analizzabili.
Marrone sottolinea come questo sia esattamente il compito assunto dalla sociosemiotica contemporanea. Eric Landowski, ad esempio, propone di considerare il reale come “l’altra faccia del testuale”, rifiutando una concezione oggettivata del testo sul modello dell’opera letteraria. In questa visione, il testo diventa una batteria di modelli formali, una griglia strutturale che permette al senso di mettersi in condizione di significare.
Il rapporto si inverte, dunque, o meglio si riequilibra. Se in un primo momento Latour ha tratto dalla semiotica strumenti per i suoi progetti sociologici e politici, oggi è la semiotica che può — e forse deve — guardare ai lavori di Latour come a una fonte proficua di ispirazione epistemologica e metodologica. Secondo Marrone, insieme a pensatori come Gilles Deleuze e Paolo Fabbri, Latour mostra ai semiologi che la semiotica, in quanto scienza dei testi, è una scienza della realtà.
Una realtà fatta di segni, di linguaggi, di discorsi, di senso. Una realtà, come scrive Marrone, «fatta-fatta» di testualità onnipresente. Fuori dal testo — rassicura ironicamente — “v’è comunque salvezza”, perché anche uscendo da esso non si fa che entrare in infiniti altri testi. Le opere di Latour, da Laboratory Life a La scienza in azione, da Non siamo mai stati moderni a Il culto moderno dei fatticci, fino alla sociologia della traduzione, lo dimostrano con chiarezza.
In questa cornice, Politiche della natura rappresenta per Marrone il libro più rilevante di Latour, sia per il superamento della categoria di “ibrido”, sia per l’elaborazione di una nuova dialettica tra ibridazione e naturalizzazione. Il risultato è una proposta che unisce decostruzione e ricostruzione: da una parte, la smitizzazione del fatto come entità naturale; dall’altra, la progettazione di una “nuova costituzione” in cui umani e non umani, scienza e politica, trovano nuove modalità di interazione e di ripartizione del potere. È la politica stessa, intesa come forma di organizzazione del collettivo, a guidare questa nuova articolazione del mondo comune.
Riferimento bibliografico: Gianfranco Marrone, Politiche della natura / Natura della politica