Nella storia della semiotica, lo studio della narratività ha rappresentato un momento teorico fondamentale, presente fin dalle sue origini ma successivamente trascurato in alcune correnti di ricerca. Paolo Fabbri invita a ripensare radicalmente il concetto di narratività, spostandolo dal dominio del “racconto” a quello più ampio della configurazione di azioni e passioni.
In una prospettiva semiologica a dominante linguistica, la narrazione è spesso identificata con testi verbali, orali o scritti, che presentano una sequenza di eventi riconoscibili. Tuttavia, afferma Fabbri, la narratività — intesa nel senso che la semiotica contemporanea va precisando — «non è più un qualche cosa presente semplicemente in un racconto», ma è ogni struttura in cui compaiono concatenazioni e trasformazioni di azioni e passioni.
Questa ridefinizione non è in sé inedita. Fabbri riconosce che l’idea di narrazione come concatenazione e trasformazione ha radici antiche, già nella Poetica di Aristotele. Ma ciò che distingue l’ipotesi semiotica è il radicamento in una cultura teorica che riconosce la lunga durata di certe nozioni (nome, aggettivo, epiteto, verbo, ecc.) come strumenti attivi ancora oggi. In tal senso, la narratività diviene un dispositivo universale di configurazione del senso, capace di articolarsi anche al di fuori del linguaggio verbale.
Fabbri lo esemplifica con forza: esistono forme di narratività non verbale, come una pantomima, un balletto, una organizzazione spaziale, una musica a tonalità narrativa. Si tratta, in tutti questi casi, di articolazioni narrative costruite attraverso sostanze diverse dell’espressione. Per Fabbri, è proprio questa capacità trasversale a fondare l’importanza teorica della narratività: essa non è legata alla parola, ma è «un atto di configurazione del senso» che si organizza attorno a forme e sostanze diverse — e, al contempo, le trasforma.
Per questo motivo, la forma dell’espressione e la forma del contenuto sono in rapporto reciproco: esprimere una stessa narratività con la musica o con le parole non è affatto lo stesso, poiché i significati narrativi vengono ridefiniti e trasformati dalle sostanze e forme espressive. La semiotica, allora, non può più pensare ai contenuti narrativi come invarianti rispetto alle espressioni: «non è vero che esistono pensieri che restano uguali quando vengono espressi con forme espressive diverse».
Questa ipotesi si salda con una delle intuizioni più rilevanti della filosofia ermeneutica contemporanea. Fabbri cita esplicitamente Temps et récit di Paul Ricoeur, che legge come un tentativo di connettere il pensiero fenomenologico con le teorie semiotiche della narrazione. Non è un caso, afferma Fabbri, che nel secondo volume dell’opera di Ricoeur siano discussi in modo centrale autori come Propp, Lévi-Strauss, Bremond, Genette e Greimas: tutti figure che hanno elaborato teorie della narratività nella forma di una organizzazione semiotica di concetti con una base epistemologica.
Ed è proprio grazie a questa connessione che si può riconoscere nella narratività non solo una struttura discorsiva, ma anche una forma del pensiero. La narratività diventa così un ponte tra la costruzione del senso e le strutture dell’esperienza, un punto d’incontro tra la semiotica e la filosofia.
Riferimento bibliografico: Fabbri, P. (1998). La svolta semiotica. Italia: Laterza.