Nel breve ma denso Elementi di semiologia (1964), Roland Barthes affronta in modo sistematico i rapporti fra linguistica e semiologia, riformulando in modo provocatorio la celebre affermazione di Ferdinand de Saussure. Mentre Saussure sosteneva che “la semiologia è una parte della linguistica”, Barthes ribalta questa posizione: “è la linguistica a dover essere considerata una parte della semiologia”.
Ma questo ribaltamento, osserva Traini, è solo apparente. In realtà Barthes finisce per affermare la centralità assoluta della lingua naturale rispetto agli altri sistemi di significazione, assumendo che ogni semiotica si fondi sul linguaggio.
La dipendenza dei sistemi semiologici dal linguaggio
Scrive Barthes: “non è affatto certo che nella vita sociale del nostro tempo esistano, al di fuori del linguaggio umano, sistemi di segni di una certa ampiezza”. Anche oggetti, immagini, comportamenti possono “significare”, ma non lo fanno mai in modo autonomo: “ogni sistema semiologico ha a che fare con il linguaggio” (Elementi di semiologia, p. 13-14).
In altri termini, qualsiasi segno visivo o oggettuale (vestiti, cibo, fotografia, pubblicità) riceve senso solo attraverso la mediazione linguistica. La lingua isola i significanti e ne nomina i significati. Anche in un messaggio visivo, come una fotografia pubblicitaria, è la didascalia o lo slogan linguistico a orientarne l’interpretazione.
Barthes conclude con un’affermazione forte: “nonostante l’invasione delle immagini, la nostra è più che mai una civiltà della scrittura”.
Una civiltà della nominazione
In questa prospettiva, la lingua naturale diventa il sistema supremo che regge tutti gli altri. Solo attraverso la nominazione linguistica un oggetto diventa significante e si carica di significato. La semiologia, dunque, è per Barthes una parte della linguistica, perché ogni semiotica è fondata sulla lingua, che ne garantisce l’articolazione interna e l’efficienza comunicativa.
Marrone – come ricorda Traini – riconduce questa posizione al lungo lavoro che Barthes svolge in quegli anni su moda, cibo, pubblicità, fotografia giornalistica, e sottolinea che “nella maggior parte dei casi è il linguaggio verbale, in quanto garanzia di efficienza significativa e di articolazione interna, a rendere conto della segnicità della cultura”.
Una posizione problematica
La tesi barthesiana, nota Traini, è oggi oggetto di riconsiderazione. All’interno dei paradigmi semiotici più recenti, che tendono a rivalutare le forme non linguistiche di significazione (visive, tattili, performative), la posizione di Barthes può apparire riduttiva. Ma nel contesto degli anni Sessanta, essa ha il merito di affermare l’interdipendenza tra linguaggio e cultura, e di fondare una semiologia capace di leggere criticamente i sistemi simbolici della società borghese.
Riferimento Bibliografico:
Stefano Traini. Le due vie della semiotica: Teorie strutturali e interpretative (Strumenti Bompiani)