Dopo la pubblicazione del Nome della rosa, Umberto Eco rispose a un giornalista che gli chiedeva dove si trovasse la soggettività dell’autore nel romanzo, affermando che “il soggetto è negli avverbi”. Quella che poteva sembrare una battuta, è stata interpretata da Patrizia Violi come una sintesi efficace di un’intera posizione teorica sul tema della soggettività, rintracciabile lungo tutto il percorso della riflessione di Eco.
La prima tematizzazione esplicita del soggetto compare nel Trattato di semiotica generale del 1975. Apparentemente marginale, la soggettività occupa in realtà le ultime pagine del volume, dove si colloca come vera conclusione teorica. Eco stesso osserva che il soggetto era rimasto fino a quel momento “assente”, un fantasma continuamente eluso ma sempre evocato attraverso la prassi sociale della produzione segnica e la natura comunicativa dei fenomeni culturali.
Nel capitolo finale del Trattato, il soggetto viene definito come “modo di segmentare l’universo e di associare unità espressive a unità di contenuto”, attività “storica e sociale” che coincide con il processo stesso della semiosi. Si tratta, scrive Eco, di “concrezioni storico-sistematiche” che “si fanno e si sfanno senza posa”. Il soggetto si identifica dunque con i processi di creazione e produzione del senso, secondo una prospettiva che Violi definisce “inerentemente peirciana”.
Una formulazione analoga è proposta anche in Semiotica e filosofia del linguaggio (1984), dove il soggetto torna ad essere associato alla semiosi e viene ulteriormente connesso alla nozione di inferenza. Se il segno, inteso come identità, presuppone un codice oggettivo e un soggetto rigidamente definito, il segno come inferenza implica un soggetto “più mobile e più presente”. In questa prospettiva:
“Il segno come momento (sempre in crisi) del processo di semiosi è lo strumento attraverso il quale lo stesso soggetto si costruisce e si decostruisce di continuo. (…) Siamo come soggetti, ciò che la forma del mondo prodotta dai segni ci fa essere”.
Violi sottolinea come il soggetto, in quanto semiosi, non sia né circoscrivibile né statico: è una “configurazione diffusa”, continuamente ridefinita dalle pratiche storiche e culturali di produzione del senso. È quindi un soggetto dinamico, privo di stabilità ontologica, che si costituisce storicamente come risultato delle pratiche significative.
Il modello teorico di Eco, per quanto non centrato sulla teoria dell’enunciazione, elabora una concezione della soggettività che si distingue nettamente sia dall’individualismo empirico sia dalla trascendentalità husserliana. Proprio il fatto di non aver aderito ai modelli enunciativi classici ha permesso a Eco – osserva Violi – di evitare gli “eccessi della trascendentalità” e di proporre invece una nozione del soggetto come effetto dei processi di significazione.
In sintesi, il soggetto per Eco non è una struttura a priori, ma il prodotto delle dinamiche storiche e culturali della semiosi. È un operatore mobile, legato alla produzione e trasformazione del senso, e proprio per questo parte integrante dell’universo segnico e dell’enciclopedia.
Riferimento bibliografico: Patrizia Violi, “Il soggetto è negli avverbi”. Lo spazio della soggettività nella teoria semiotica di Umberto Eco, in “Autour Umberto Eco. Signes, représentations, interpretations”, Sofia, 2004. Pubblicato online il 7 gennaio 2005.