Roland Barthes nasce nel 1915 a Cherbourg, in Normandia. La sua vicenda biografica e intellettuale si intreccia fin dall’inizio con la fragilità del corpo e la forza del pensiero. Trasferitosi a Parigi nel 1924 per proseguire gli studi liceali, è presto colpito dalla tubercolosi. La malattia, scrive Stefano Traini, “lo costringe a periodi di riposo e cure a Bayonne e a frequenti ricadute polmonari negli anni successivi”. Questa condizione segna profondamente la sua giovinezza, ma non ne arresta la formazione.
Dopo aver insegnato all’Istituto francese di Bucarest nel 1947, nel 1949 Barthes è lettore di francese all’Università di Alessandria d’Egitto. In questo contesto avviene un incontro decisivo: conosce A. J. Greimas, che lo introduce agli studi di linguistica. Tornato a Parigi alla fine degli anni Cinquanta, inizia a dedicarsi all’attività di saggista e critico teatrale. È del 1957 la pubblicazione di Mythologies, un’opera destinata a segnare un punto di svolta nella riflessione culturale del Novecento.
Il successo di pubblico è immediato, ma il riconoscimento accademico tarda ad arrivare. Solo nel 1960 Barthes riesce a entrare all’École pratiques des hautes études en sciences économiques et sociales. In quegli anni prende parte alla stagione strutturalista, accanto a figure come Michel Foucault, Jacques Lacan, Louis Althusser, Claude Lévi-Strauss e lo stesso Greimas. L’appartenenza a questa cerchia di studiosi segna profondamente la sua elaborazione teorica, pur restando il suo percorso “variegato e complesso”, come lo definisce Traini.
Nel 1977, già intellettuale di fama internazionale, Barthes ottiene l’incarico di tenere l’insegnamento di Semiologia letteraria al prestigioso Collège de France. Muore tragicamente il 26 marzo 1980, investito da un camioncino in Rue des Écoles, a Parigi, dopo alcune settimane di agonia.
Barthes è stato un intellettuale eclettico, capace di attraversare e trasformare diversi campi del sapere: dalla critica letteraria alla teoria dei media, dalla linguistica alla filosofia del linguaggio, dalla sociologia alla fotografia. In questa sede – precisa Traini – l’attenzione si concentra sulla cosiddetta fase semiologica del pensiero barthesiano. Una fase che trova espressione in opere fondamentali come Miti d’oggi (Mythologies, 1957), Elementi di semiologia (1964), Retorica dell’immagine (1964), Introduzione all’analisi strutturale dei racconti (1966), Sistema della moda (1967) e S/Z (1970).
Riferimento Bibliografico:
Stefano Traini. Le due vie della semiotica: Teorie strutturali e interpretative (Strumenti Bompiani)