Tra la metà degli anni Novanta e i primi anni Duemila, la RAI promuove una serie di ricerche sulle sue trasmissioni, coinvolgendo l’Istituto di Comunicazione del IULM per uno studio specifico sulla rappresentazione della donna nei programmi televisivi. I risultati di questo progetto confluiscono nella pubblicazione Una, nessuna … a quando centomila? La rappresentazione della donna in televisione.
L’analisi si concentra in particolare su un genere televisivo preciso: le emissioni di servizio, dedicate a temi pratici come la cucina, la salute, la preparazione della tavola, il giardinaggio. Il pubblico di riferimento è composto prevalentemente da pensionati e donne casalinghe. L’indagine, come spiega Michela Deni, prende in esame la costruzione discorsiva e narrativa di queste trasmissioni, con attenzione alle dinamiche di genere nella figura dell’“esperto”.
Quattro sono gli assi tematici dell’analisi:
- la struttura narrativa ricorrente delle trasmissioni;
- la costruzione stereotipica dei casi esemplari quotidiani;
- le modalità di rappresentazione delle relazioni di genere;
- la costruzione dell’autorità dell’esperto.
Le trasmissioni seguono uno schema narrativo preciso: il presentatore introduce una situazione concreta, un esperto propone la soluzione, e lo spettatore è guidato lungo un percorso di apprendimento e valore. Il presentatore assume diversi ruoli: soggetto in cerca di un valore, principiante motivato, destinante e talvolta sanzionatore. Si configura come fluidificante della comunicazione, garante dell’isotopia tra attanti, ruoli tematici e strategie discorsive.
Nel costruire i casi esemplari, il programma mira alla riconoscibilità, non all’eccezione. Quando il caso si presenta come insolito, il discorso retorico del presentatore lo “normalizza”, riassorbendolo nella quotidianità tramite l’esplicitazione di analogie e la pathémisation. Il pubblico è invitato a identificarsi, a provare le stesse emozioni di chi è in studio, rafforzando così il contratto enunciativo.
Gli stereotipi di genere sono centrali in questo processo. Quando l’esperto è donna, il presentatore adotta una retorica di apparente cortesia che reintroduce norme tradizionali: “È una donna affascinante, ma anche direttrice di clinica…”; “Come riesce a conciliare il ruolo di madre con quello di scienziata affermata?”. L’asimmetria si conferma anche nel trattamento degli uomini: se un uomo è vittima di una truffa, la giustificazione è immediata — “non è uno sprovveduto, eppure ha subito un raggiro” — mentre la stessa situazione con protagoniste donne non richiede attenuanti. Questo schema, osserva Michela Deni, è condiviso da presentatori e presentatrici, nonché dagli stessi esperti e spettatori in studio.
Il terzo asse dell’analisi riguarda la rappresentazione delle relazioni tra generi. Gli esperti sono prevalentemente uomini: avvocati, medici, chef, scrittori. Quando l’esperta è una donna, spesso viene presentata come “figlia di…” o “moglie di…”, e le sue affermazioni richiedono la conferma di un collega maschile. La competenza scientifica femminile è quasi sempre legata ad ambiti percepiti come femminili (cucina, cura, estetica), mentre la botanica, ad esempio, resta dominio maschile.
Deni osserva che anche il modo in cui ci si rivolge agli esperti rivela l’asimmetria: “l’avvocato Rossi” per l’uomo, “la signora Caterina” per la donna, anche se entrambi svolgono la stessa professione. I presentatori si rivolgono agli uomini con tono formale e deferente, mentre alle donne con maggiore informalità, spesso con appello all’emotività, al sorriso, alla prossimità corporea.
Infine, la costruzione dell’autorità passa attraverso strategie discorsive e visive. L’esperto è legittimato dal racconto del proprio curriculum, dai successi, dai casi risolti. La scenografia televisiva contribuisce: il cuoco è in cucina con la toque, il medico nel suo studio con il camice, il ricercatore nel laboratorio. Se l’ospite è celebre, basta l’apparizione in studio, ma l’abbigliamento segnala comunque il suo ruolo sociale.
Solo in rari casi una donna può accedere a questo statuto: quando è molto affermata in settori tradizionalmente maschili, come la ricerca scientifica, la sua autorevolezza viene sottolineata da marcatori visivi (camice, strumenti, postura) che fungono da rinforzo figurativo. Ancora una volta, la rappresentazione dei ruoli sessuali è il risultato di strategie enunciative esplicite e implicite, che riflettono valori sociali radicati.
Secondo Deni, la rappresentazione dell’énonciataire riflette una famiglia patriarcale rurale più simile all’Italia del dopoguerra che a quella degli anni Novanta. Le televisioni di Berlusconi non sfuggono a questo quadro: propongono una visione dei ruoli sessuali altrettanto arcaica. Non sorprende, quindi, che nel Global Gender Gap Report del 2014 l’Italia risulti al 69° posto mondiale per la condizione delle donne. L’analisi semiotica — conclude l’autrice — è uno strumento decisivo per rilevare questi contenuti impliciti nei prodotti culturali ed editoriali di un paese.
Fonte: Michela Deni. Contributions à l’histoire et à la théorie sémiotique du design et du projet : De l’analyse à l’approche prévisionnelle. Sciences de l’information et de la communication. Université de Nîmes, 2015.