Nel cuore della riflessione semiotica di impianto strutturalista si colloca il principio di immanenza, formulato da Louis Hjelmslev. Secondo questa impostazione, la linguistica — e più in generale la semiotica — deve concentrarsi esclusivamente su ciò che è interno alla lingua o al testo, escludendo ogni riferimento a fattori esterni: fisiologici, psicologici, sociali o storici.
Per Hjelmslev, il linguaggio non è un mezzo per conoscere altro, ma diventa esso stesso oggetto di conoscenza. È questo lo scarto fondamentale rispetto a una visione trascendente, che utilizzava la lingua per accedere alla psiche o alla società. La teoria linguistica, scrive Hjelmslev, deve «mirare a una comprensione immanente del linguaggio come struttura specifica autosufficiente, e cercare una costanza all’interno del linguaggio e non fuori di esso».
L’obiettivo è quello di “chiudere” l’oggetto, considerandolo una totalità coerente, autonoma, analizzabile nella sua organizzazione interna. Si tratta quindi di descrivere le dipendenze interne del sistema linguistico — o semiotico — e di individuare costanti rispetto alle variabili.
Tuttavia, Hjelmslev è consapevole che questa chiusura è una scelta metodologica arbitraria, non un obbligo imposto dalla natura dell’oggetto. Il linguista adotta la prospettiva immanente per ottenere una descrizione semplice e coerente, che possa poi essere proiettata sui fenomeni circostanti e offrirne una spiegazione organizzata. L’immanenza è dunque un vincolo funzionale, non una negazione assoluta del contesto.
Stefano Traini, riprendendo le osservazioni di Alessandro Zinna, sottolinea che un simile atteggiamento è condiviso da molte scienze: anche la fisica, ad esempio, tende a isolare le variabili in laboratorio per identificare comportamenti invarianti, prima di estendere il modello a fenomeni più complessi. La semiotica non fa eccezione: il principio di immanenza fissa una priorità analitica, senza escludere fasi successive di apertura.
Con Greimas e Courtés, il concetto viene riformulato all’interno di una teoria metalinguistica della semiotica. Nel Dictionnaire raisonné, l’immanenza è definita in rapporto alla manifestazione: ogni forma manifesta presuppone una struttura immanente. Ma tale struttura può essere descritta solo attraverso un metalinguaggio costruito. Viene così introdotta la distinzione tra universo semantico (la semiotica in quanto tale, prima dell’analisi) e oggetto semiotico (il risultato dell’esplicitazione metalinguistica).
Questa impostazione fonda un metodo di analisi con una chiara vocazione scientifica, che mira a garantire un controllo intersoggettivo dei risultati. Si tratta di un metodo fondato sulla chiusura sistemica, sulla coerenza interna e sull’interdefinizione del vocabolario teorico.
Ma questa direzione, osserva Traini, non è quella seguita da Umberto Eco. Se la linea Greimas-Hjelmslev si sviluppa nel senso di una semiotica analitica e metodologica, Eco — soprattutto a partire dagli anni Ottanta — tende a privilegiare un’impostazione filosofica e interdisciplinare. Il suo obiettivo è tenere insieme Hjelmslev e Peirce, unire rigore formale e apertura enciclopedica.
Secondo Traini, tuttavia, l’introduzione dei concetti peirceani ha progressivamente scardinato i fondamenti hjelmsleviani che caratterizzavano la prima fase del pensiero di Eco. Con il modello enciclopedico basato sugli interpretanti (Eco 1975, 1984), viene meno il principio di immanenza: il sistema si apre, perde i confini analitici, rinuncia al metalinguaggio chiuso.
Non si tratta solo di una svolta teorica. Questa scelta comporta la fine dello strutturalismo metodologico e l’adozione di un approccio che privilegia la riflessione epistemologica e gnoseologica. L’apice di questa trasformazione si trova in Kant e l’ornitorinco (1997), opera in cui convergono e prevalgono i molteplici interessi filosofici maturati da Eco lungo la sua carriera.
Traini conclude che l’abbandono del principio di immanenza ha portato a una perdita e a un guadagno. Da un lato, la rinuncia al metodo analitico comporta l’impossibilità di stabilire criteri oggettivi e condivisi per l’analisi semiotica. Dall’altro, si apre lo spazio per una semiotica che interroga la conoscenza, il linguaggio, la mente, in dialogo con le scienze cognitive e la filosofia contemporanea.
Riferimento bibliografico: Stefano Traini, La struttura assente e il principio di immanenza. Qualche riflessione sul metodo semiotico, in “RIFL/SFL”, 2017