Cosa significa davvero interpretare un testo? Che cosa succede quando leggiamo un racconto, una poesia o una legge scritta in modo ambiguo? E come si affronta la lettura di testi religiosi o filosofici che sembrano offrire molteplici sensi possibili? Sono domande centrali in ogni cultura che si interroghi sul linguaggio e sul pensiero, ma che in Europa hanno trovato una risonanza particolare fin dall’antichità.
La questione dell’interpretazione, infatti, non si limita alla lettura di testi scritti: riguarda più in generale l’intero processo di comprensione del senso. Il lettore moderno si misura continuamente con testi complessi, ambigui, stratificati: dai documenti giuridici alle Sacre Scritture, dai testi letterari alle testimonianze storiche. Ma non è un’esperienza soltanto moderna. La cultura europea ha conosciuto, sin dall’epoca ellenistica, una vera e propria disciplina dedicata all’interpretazione: l’ermeneutica.
Questa parola, apparentemente semplice, deriva dal verbo greco hermeneúein, che il Vocabolario della Lingua Greca di Lorenzo Rocci traduce con una sorprendente varietà di significati: «interpreto; traduco; fo capire il pensiero; espongo; dichiaro; spiego; esprimo; descrivo». Fin dalle sue origini, dunque, la riflessione sull’interpretazione mette in evidenza il nesso essenziale tra espressione linguistica e organizzazione delle condizioni della comprensione.
Una questione filosofica, prima ancora che esegetica
Nella tradizione filosofica europea, l’interpretazione è stata spesso concepita come un’operazione che non riguarda solo i testi, ma il linguaggio stesso. I filosofi si sono chiesti che cosa accada nella mente umana quando si ascolta o si legge qualcosa, ovvero quando si attribuisce un significato a una parola, a una frase o a un intero discorso.
Da qui l’identificazione dell’interpretazione come l’atto con cui un segno — come una parola — viene collegato a un contenuto o a un oggetto del mondo. Questo ha dato origine a riflessioni che si sono trasformate in vere e proprie teorie del linguaggio e del segno, alcune delle quali conservano ancora oggi un grande valore euristico.
Ma non si tratta di percorrere tutta la storia delle teorie interpretative. Piuttosto, ci si concentra qui su alcuni contributi fondamentali che sono stati successivamente ripresi dalla semiotica e che conservano un interesse specifico in questa prospettiva: dalla filosofia greca alla tradizione biblica, fino alla moderna ermeneutica filosofica.
Interpretazione e vita quotidiana
La riflessione sull’interpretazione non riguarda soltanto studiosi, esegeti, giuristi o filologi. È un problema che si presenta ogni volta che ci troviamo davanti a un evento nuovo o a un testo ambiguo. E non esistono strumenti automatici per stabilire quale interpretazione sia “giusta”. Per questo la pratica interpretativa è un terreno in cui si intrecciano esperienza, sapere, intuizione e metodo.
Anche per questo motivo, il problema dell’interpretazione non è mai stato confinato a una sola disciplina: attraversa la filosofia, la filologia, la teologia, la linguistica e, naturalmente, la semiotica. È proprio all’interno di questa rete complessa di domande e risposte che nasce la necessità di un approccio sistematico — quale è l’ermeneutica — per definire le condizioni di possibilità dell’atto interpretativo.
Il pensiero occidentale ha riconosciuto fin dall’antichità che comprendere un testo — o, più in generale, un’espressione linguistica — significa attivare una serie di processi cognitivi e culturali. Processi che, lungi dall’essere immediati o automatici, richiedono attenzione, contesto e un lavoro di decifrazione. Interpretare, allora, è sempre anche un’operazione critica, linguistica e cognitiva.
Riferimento bibliografico: Valentina Pisanty – Roberto Pellerey, Semiotica e interpretazione, Bompiani, Milano 2004