Nel dibattito sull’intelligenza artificiale, la questione del corpo riveste un ruolo centrale e tutt’altro che risolto. Ma che cosa intendiamo esattamente quando parliamo di “corpo”? Per affrontare i “corpi dell’IA” — come propone Simona Stano — è necessario partire da una definizione preliminare.
Il dizionario Treccani definisce il corpo come una “porzione limitata di materia”, specificando che, in ambito scientifico, esso si identifica come “struttura fisica dell’uomo e degli animali”. Si tratta quindi, secondo la concezione dominante nelle scienze naturali, di un oggetto materiale e de–personalizzato, scomponibile in unità via via più piccole — organi, tessuti, cellule — e suscettibile di misurazione, prelievo, sostituzione o alterazione.
Tuttavia, sottolinea Stano, una tale entità autonoma e “naturale” può esistere solo in modo puramente teorico. Il corpo reale è sempre vissuto e personalizzato. Qui si impone la distinzione husserliana tra Leib (il corpo vissuto) e Körper (il corpo oggetto), ripresa da Merleau–Ponty nella sua riflessione fenomenologica. In quest’ottica, il corpo si istituisce come una forma di “natura socializzata”, costruita sulla base di una visione culturale e storicamente determinata dell’essere umano. Lo hanno mostrato, tra gli altri, Douglas, Butler, Bourdieu e Foucault.
Stano ricorda inoltre che gran parte del pensiero occidentale si è sviluppato a partire dalla separazione tra realtà materiale del corpo e dimensione spirituale o pensante dell’uomo. È la visione dualistica che va da Platone — per cui il corpo è “prigione” dell’anima — fino a Cartesio, che lo concepisce come res extensa distinta dalla res cogitans. L’eccezione a questo paradigma è rappresentata da Aristotele, il quale considera ogni corpo naturale dotato di vita come “sostanza composta”: l’anima è la forma di un corpo vivente, non una realtà distinta da esso.
Nel campo della semiotica, questa tensione tra oggettualità e soggettività è stata tematizzata da autori come José Enrique Finol e Jacques Fontanille. Finol propone il concetto di “corposfera” per indicare la corporeità come “mondo performativo di semiosi”. Fontanille, invece, distingue tra Me–carne (corps–chair) — “totalità composita nell’esistenza”, che resiste e partecipa all’azione — e Sé o corpo proprio (corps propre), “unità coerente nell’esperienza”, in cui l’identità si costruisce discorsivamente.
Questi approcci segnano un passaggio da una concezione materialista della corporeità a una visione che ne coglie la complessità semiotica. Tuttavia, osserva Stano, è sorprendente notare come anche oggi il dualismo continui a segnare profondamente il modo in cui pensiamo e percepiamo il corpo.
A dimostrarlo, è sufficiente tornare alla definizione della Treccani, che subito dopo aver descritto il corpo come porzione di materia, precisa:
“Con più preciso riferimento all’uomo, è in genere considerato, soprattutto in concezioni e dottrine religiose, l’elemento corruttibile, e come tale contrapposto all’anima e allo spirito (nel pensiero filosofico moderno, tale contrapposizione rientra in quella più generale tra la realtà estesa e la realtà pensante)” (Treccani 2022).
La scissione tra corpo e pensiero, materia e spirito, resta così in primo piano. Come si vedrà negli sviluppi più recenti dell’IA, questa distinzione continua a rappresentare un nodo cruciale per comprendere non solo le tecnologie, ma anche i nostri modi di rappresentarle e viverle.
Riferimento bibliografico: Simona Stano, I corpi (im)possibili dell’intelligenza artificiale, in Semiotica e intelligenza artificiale, a cura di Antonio Santangelo e Massimo Leone, Roma, 2023, pp. 219–237.