Uno dei punti centrali della teoria del segno saussuriana è l’arbitrarietà del legame tra espressione e contenuto. Come evidenziato anche da Hjelmslev, il segno è una funzione tra due funtivi — piano dell’espressione e piano del contenuto — e tale relazione non è necessaria, ma costruita.
Anna Maria Lorusso osserva che “il legame che unisce suono e significato […] è arbitrario”. La parola “carta”, ad esempio, non ha nulla che la leghi naturalmente al supporto materiale su cui scriviamo: in altre lingue cambia radicalmente — papier, paper — e persino il parlante può mentire, chiamando “carta” ciò che in realtà è pergamena. Da qui, la conclusione: “il linguaggio non ha un rapporto di motivazione con la realtà”.
Ma cosa significa esattamente “arbitrario”? Lorusso precisa che “arbitrario non vuol dire soggettivo, perché la lingua è un fatto sociale”. L’arbitrarietà si riferisce al fatto che il rapporto tra significante e significato “è convenzionale”, cioè definito all’interno di una certa comunità linguistica, in un certo tempo, secondo determinate norme sincroniche.
La nozione di sistema è decisiva: un segno assume identità e valore “in rapporto alla struttura” in cui è inserito, cioè alla rete di differenze che lo distingue da altri segni. L’identità linguistica, nota l’autrice, “è differenziale”: la parola “carta” vale in quanto si distingue da parole come “cartina”, “cartone”, “canta”, ecc. Allo stesso modo, il treno Milano–Bologna delle 8.00 è ritenuto sempre lo stesso non per le sue componenti materiali, ma per la posizione che occupa all’interno del sistema ferroviario.
Lorusso richiama poi un passaggio degli Elementi di semiologia di Roland Barthes, in cui l’autore insiste su due aspetti destinati ad avere grande fortuna nella semiotica contemporanea: da un lato, “la natura contrattuale del segno”, e dall’altro, “la circolarità, nella semiosi, di analogico e immotivato”. Il legame tra significante e significato, secondo Barthes, “non è mai del tutto arbitrario”.
L’autrice spiega che, per Barthes, ogni associazione tra parola e cosa è inizialmente “contrattuale”, ma col tempo si naturalizza. Per esempio, “ci sembra naturale che ‘casa’ significhi un edificio destinato all’abitazione”, anche se non esiste alcuna ragione intrinseca per legare quella parola di quattro lettere a quel concetto. Inoltre, osserva che esistono forme parzialmente motivate: le onomatopee, le strutture morfologiche regolari, i derivati. Anche in questi casi la lingua manifesta, accanto alla convenzione, una traccia di razionalità formale.
In senso speculare, anche nei segni iconici — come le immagini visive — il legame con il contenuto può essere convenzionale: “convenzionalità e motivazione […] non si escludono”, ma anzi si richiamano. L’arbitrarietà riguarda il rapporto interno tra significante e significato; la convenzionalità il rapporto esterno tra un segno e gli altri segni del sistema. Un esempio è la falce e martello: “un segno convenzionale […] non è del tutto arbitrario perché la scelta di quelle due immagini è motivata da una precisa identità di partito”.
La semiotica, nel suo sviluppo recente, ha saputo superare la dicotomia rigida tra naturale e convenzionale, mostrando come ogni segno sia inserito in una rete complessa di relazioni storiche, culturali e percettive.
Riferimento bibliografico:
Anna Maria Lorusso. Semiotica. 2005 Raffaello Cortina Editore