L’analisi dei testi individuali che si manifestano in sostanze dell’espressione diverse dalla lingua naturale presenta difficoltà specifiche. Partendo dal presupposto che la semiotica sia la disciplina che studia tutti i sistemi di segni — inclusa la lingua naturale — si è spesso tentato di estendere a ogni altra sostanza una procedura ispirata al modello linguistico, cercando di rinvenirne l’articolazione e i diversi livelli.
Questa operazione, tuttavia, si rivela complessa. La lingua naturale, infatti, possiede una doppia articolazione, e la seconda articolazione è descrivibile perché la sua struttura “pre-linguistica” è nota (la fonetica, che diventa fonologia). Al contrario, altri sistemi non sono conosciuti nella loro natura fisica. La percezione visiva, ad esempio, resta oggetto di dibattito, il che rende difficile trasformare un sistema chiuso di fatti fisici in un sistema di fatti significativi — un problema che Calabrese definisce “aporia fondamentale”.
Inoltre, esistono casi nei quali si è ipotizzata l’esistenza di sistemi semiotici che non rispettano la doppia articolazione. Alcuni studi di Eco e Prieto hanno preso in esame sistemi con articolazione plurima o ridotta, come nel caso del cinema, dell’architettura o del bastone per ciechi. In questa prospettiva, la classificazione dei fenomeni semiotici secondo le sostanze dell’espressione — pittura, cinema, musica — ha portato spesso a trascurare problemi fondamentali, in favore di ricerche sulle unità minime e sui “segni specifici”.
Calabrese sottolinea come, anche in presenza di sostanze differenti, problemi teorici come l’enunciazione, le strutture narrative, le modalità o la figurativizzazione restano centrali e ricorrenti. Il riferimento a Greimas è decisivo: viene ribadito che il piano del contenuto resta lo stesso, anche se può essere segmentato diversamente a seconda delle culture e dei linguaggi.
Il punto cruciale, osserva l’autore, non consiste nel moltiplicare tipologie di segni, ma nel concentrarsi sull’analisi degli esiti espressivi delle grandi procedure di costruzione del senso.
La critica si estende alla nozione stessa di testo, il cui uso è stato largamente ampliato dalla semiotica, fino a comprendere fenomeni culturali non verbali. Questo ampliamento ha suscitato dubbi sull’autonomia del concetto di testo rispetto alle sostanze in cui si manifesta.
A tale proposito, Calabrese richiama le osservazioni di Émile Benveniste contro l’idea di un “linguaggio della pittura”. Secondo Benveniste, per poter parlare di sistema linguistico devono esistere due condizioni: un asse paradigmatico, ovvero una lista chiusa di elementi minimi coerenti fra loro, e un asse sintagmatico, cioè regole di combinazione riconoscibili. La pittura, secondo questa argomentazione, non risponde a tali condizioni.
Tuttavia, se si considera non il sistema, ma l’opera singola, la prospettiva cambia. Il quadro — grazie al suo limite fisico, la cornice — può essere inteso come processo e sistema al tempo stesso. Esibisce al proprio interno tutti gli elementi che lo costituiscono (anche quelli richiamati per assenza) e le regole di combinazione, rendendo visibili sia le materie e i colori, sia la loro organizzazione.
In questo modo, Benveniste salva sia l’evidenza che in un’opera pittorica si produce semiosi, sia quella della sua singolarità irriducibile.
Riferimento bibliografico: Omar Calabrese, Il semi-simbolico, in Lezioni di semisimbolico, Protagon, Siena 2000