L’atto di linguaggio non è mai un gesto isolato, ma una forma di azione situata all’interno di un intreccio di relazioni, strutture e trasformazioni. A partire da questa consapevolezza, Sophie Anquetil propone di ripensare la forza illocutoria ricorrendo agli strumenti della semiotica narrativa. Il suo modello — fondato sull’idea di co-illocutions — si basa su una logica sémio-pragmatique capace di strutturare i meccanismi performativi dell’enunciazione.
La riflessione prende le mosse da una tesi formulata da Taylor: «ogni organizzazione nasce e si struttura a partire dalle transazioni che si compiono sia all’interno delle conversazioni sia nei testi prodotti». In quest’ottica, l’atto di linguaggio diventa la “traccia” delle transazioni sociali che costruiscono la relazione interpersonale.
Anquetil osserva che una tale prospettiva richiede di pensare l’azione illocutoria come un processo distribuito tra più istanze enunciative. Non è sufficiente riferirsi a un solo soggetto parlante, ma occorre un dispositivo teorico che organizzi la ripartizione dei ruoli actantiali all’interno della trasformazione performativa. L’analisi degli atti illocutori deve dunque fondarsi su un paradigma capace di render conto delle trasformazioni di stato operate dal linguaggio.
Questa direzione di ricerca affonda le radici in una tradizione teorica ben precisa. Sbisà, già nel 1983, proponeva di rappresentare gli atti di linguaggio come “transformations d’états”, suggerendo un’interessante apertura verso il modello della semiotica narrativa. Allo stesso modo, Carontini interpreta i segni come strumenti di mediazione attiva, veri e propri operatori trasformativi nell’interazione comunicativa: è la logica della “médi-action”.
Cooren riprende e sviluppa queste ipotesi. Perché una trasformazione possa avvenire, scrive, il soggetto-operatore dell’atto illocutorio deve attraversare le quattro fasi del programma narrativo di Greimas: manipolazione, compétence, performance e sanction. È questo stesso schema ad articolare ogni trasformazione semantica — anche quando si tratta di un atto linguistico.
La teoria prende forma attraverso esempi concreti: l’enunciato «Potresti chiudere questa porta?» corrisponde alla fase di competenza, poiché attiva la modalità alethica del potere-fare. L’enunciato «Hai chiuso la porta?» appartiene invece alla fase di performance, poiché segnala il compimento dell’azione. L’intero atto di linguaggio si configura così come una struttura narrativa, che separa uno stato iniziale da uno stato finale, quest’ultimo corrispondente all’effetto illocutorio dell’atto performato.
In questa prospettiva, la forza illocutoria non è il semplice risultato di una intenzione comunicativa, ma il punto d’arrivo di una sequenza trasformativa. La proposta di Anquetil mira a dare conto di questa dinamica, modellizzando le interazioni attraverso una grammatica narrativa. I blocchi illocutori non vanno pensati come unità isolate, ma come séquences stéréotypées che seguono un’organizzazione regolare.
Il concetto stesso di co-illocutions nasce per descrivere questo fenomeno: sequenze organizzate e co-occorrenze necessarie che, solo nel loro insieme, garantiscono la trasformazione perlocutoria. L’atto illocutorio ha senso soltanto se collocato in un processo narrativo condiviso, soggetto a vincoli di coerenza e anticipazione.
Riferimento bibliografico: Sophie Anquetil, “Penser les actes illocutoires du point de vue de la sémiotique narrative. Comment se construit la force illocutoire ?”, Actes Sémiotiques, n°132, 2025.