L’essere può essere tematizzato da tre prospettive, ciascuna delle quali si impone nei momenti in cui ci si interroga sul suo statuto. Umberto Eco ne individua tre configurazioni fondamentali: essere come ciò che è detto da un soggetto, come ciò che è detto da una parola, e come ciò che è nel mondo.
Nel primo caso, l’essere è ricondotto all’attività del soggetto. La sua esistenza è garantita dal fatto che viene detto, affermato, messo in forma attraverso un’istanza enunciante. Questa concezione ha una lunga storia che risale all’idealismo moderno e al primato della coscienza. Tuttavia, osserva Eco, essa comporta un rischio: quello di trasformare l’essere in una proiezione del soggetto, riducendolo a un effetto della sua intenzionalità.
Il secondo caso è ancora più radicale: si pensa che qualcosa sia solo perché viene detto da una parola. Il linguaggio è qui assolutizzato, al punto da diventare fondamento ontologico. L’essere coincide con ciò che è nominabile, e quindi con ciò che il linguaggio può articolare. Questa posizione, estrema nella sua forma, è tipica di certe derive post-strutturaliste. Ma Eco la riconduce a un punto fermo: la convinzione che senza parola non vi sia accesso al senso.
Il terzo caso rappresenta una forma di resistenza alle due precedenti. Si afferma che qualcosa è perché è nel mondo, indipendentemente dal fatto che sia detto da un soggetto o che venga nominato da una parola. L’essere come mondanità precede ogni atto enunciativo e ogni articolazione linguistica. Si tratta, in fondo, della posizione realista per eccellenza: esiste un fuori rispetto al linguaggio e alla coscienza, un mondo che preme e si impone.
Tuttavia, Eco mostra come nessuna di queste tre configurazioni possa funzionare da sola. Ogni volta che si tenta di separarle, emergono i limiti e le contraddizioni di ciascuna. La tentazione idealista, che riduce l’essere alla soggettività, si infrange contro la resistenza del reale. Il dogmatismo linguistico, che dissolve l’essere nella parola, si arresta davanti all’esperienza che eccede la nominazione. Il realismo ingenuo, che postula l’essere come dato bruto, non può rendere conto della mediazione semiotica che sempre accompagna l’esperienza.
L’essere, scrive Eco, «si fa avanti in tre momenti, come evento, come nominazione e come fondamento mondano». Nessuno di questi momenti è eliminabile, e nessuno può essere ricondotto completamente agli altri. La semiosi si muove su questo triplice asse: ciò che è detto da un soggetto, ciò che è detto da una parola, ciò che si impone nella sua presenza materiale.
Questa visione rifiuta le scorciatoie metafisiche e si colloca all’interno di una filosofia del linguaggio consapevole dei propri limiti. Il compito della semiotica non è decidere cosa sia l’essere, ma comprendere in quali modi il linguaggio ne articola le possibilità. L’essere resta sempre eccedente rispetto alla sua nominazione, ma è solo attraverso la nominazione che può essere pensato.
Riferimento bibliografico: Umberto Eco, Kant e l’ornitorinco, Milano, Bompiani, 1997.
