Nel ricostruire il quadro teorico della mediatizzazione, il saggio di Carlos A. Scolari mostra come questo campo di studi si sia articolato lungo tradizioni diverse, ma convergenti nella comprensione della mediatizzazione come processo interno alle dinamiche della significazione sociale. In Europa, la riflessione si è sviluppata tra un approccio socio-istituzionale e uno costruttivista: una prospettiva che mette in relazione media, istituzioni e pratiche comunicative, evidenziando il ruolo dei dispositivi nella riconfigurazione della vita sociale. Gli studi di Couldry e Hepp, così come quelli di Hjarvard o Krotz, vengono richiamati come esempi di questa linea di ricerca, attenta alla trasformazione delle forme della comunicazione moderna e tardo-moderna.
Accanto a questo scenario, Scolari ricorda la rilevanza del contributo latinoamericano, che ha elaborato una lettura semio-discorsiva della mediatizzazione. In questo contesto, l’opera di Verón assume un ruolo centrale: la mediatizzazione viene interpretata come processo di semiosi sociale, ossia come produzione e trasformazione del senso all’interno delle pratiche sociali. Da questa prospettiva, i media non sono intesi come semplici canali, ma come attori che modulano le condizioni attraverso cui il significato viene generato e messo in circolazione, in un continuo intreccio tra pratiche simboliche e tecnologie materiali.
Su questo sfondo, Scolari inserisce il riferimento al material turn, che nelle scienze sociali e umanistiche ha riportato l’attenzione sul ruolo dei supporti, delle infrastrutture e dei dispositivi nella costruzione del significato. Secondo il saggio, la materialità non costituisce un elemento neutrale: contribuisce alla configurazione stessa della semiosi. Keane, citato nel testo, sottolinea che le forme materiali possiedono proprietà «indexical and iconic» non riducibili alla sola dimensione simbolica, evidenziando così il peso delle componenti sensibili nei processi di significazione.
La discussione include anche la prospettiva della semiotica sociale, nella quale Björkvall e Karlsson mostrano che testi e artefatti possiedono un “meaning potential” determinato dalla combinazione di linguaggio e materialità: «language and materiality work together, at different levels of semiosis». L’attenzione ai supporti consente di comprendere come la significazione sia sempre inscritta in superfici, oggetti e infrastrutture che orientano la produzione e l’interpretazione del testo.
Nello stesso orizzonte si colloca la material semiotics, che interpreta il senso come risultato performativo di reti composte da attori umani e non umani. Anche questo approccio, richiamato da Scolari, insiste sul fatto che la materialità non sia un semplice vincolo esterno, ma una componente attiva delle pratiche comunicative.
Il saggio sottolinea infine che ogni processo comunicativo possiede una dimensione materiale e che la circolazione dei testi avviene sempre attraverso supporti e infrastrutture concrete: «clay, papyrus, paper, screens», oltre a biblioteche, reti di trasmissione, satelliti o server farm. Da qui la domanda che orienta il resto dell’argomentazione: in che modo questa materialità incide sui processi di mediatizzazione e sulle forme attraverso cui i testi mutano, persistono o scompaiono nel tempo?
Il quadro che ne emerge, nella lettura proposta da Scolari, è quello di una teoria della mediatizzazione che integra tradizioni diverse e riconosce nella materialità un elemento strutturante della semiosi. La mediatizzazione non viene interpretata come mero effetto dei media, ma come dinamica complessa in cui supporti, dispositivi e pratiche testuali concorrono alla costruzione e trasformazione del senso nelle società contemporanee.
Fonte: Carlos A. Scolari, “The three states of mediatization: the case of war mediatization”, Semiotica, 2025.
