Nella prospettiva della semiotica interpretativa, un testo non è mai un oggetto autosufficiente. Esso si presenta come una struttura incompleta, che necessita dell’intervento del lettore per essere attualizzata. Secondo questa impostazione, il testo è sempre “intessuto di non detto” e contiene una quantità di informazioni implicite che il destinatario è chiamato a estrapolare grazie alle proprie conoscenze enciclopediche e al proprio bagaglio inferenziale.
Valentina Pisanty osserva che la manifestazione lineare di un testo – la sua superficie espressiva esplicita – comunica molto meno di quanto il lettore ricava effettivamente dall’atto interpretativo. L’esempio dell’enunciato «si torna a casa», pronunciato da un ufficiale alle sue truppe, mostra come un’espressione apparentemente denotativa possa caricarsi di contenuti ulteriori, che dipendono dal contesto comunicativo e dalla posizione dell’interlocutore.
La semiotica interpretativa evidenzia come la comunicazione richieda un equilibrio tra ciò che viene detto e ciò che viene lasciato implicito. Se dovessero essere enunciati tutti i nessi logici che collegano le proposizioni, il discorso risulterebbe insostenibilmente ridondante e impedirebbe ogni forma di innovazione. Per questo motivo il parlante presuppone che l’interlocutore sia in grado di completare il testo, facendo ricorso alla propria competenza enciclopedica e alle conoscenze pregresse.
Nell’elaborare un testo, il produttore del messaggio tenta di indovinare quale sia la competenza del suo destinatario e lo fa formulando un’immagine di lettore a cui adeguare la strategia comunicativa. Questo processo è evidente nelle pratiche discorsive dirette, dove interlocutori presenti nello stesso spazio possono scambiarsi feedback costanti e correggere reciprocamente la propria immagine del partner comunicativo. Diversamente, nella comunicazione scritta l’autore e il lettore non condividono un contesto immediato: la distanza spazio-temporale li costringe a procedere “a tentoni”, costruendo ipotesi reciproche che possono rivelarsi anche fallaci.
Un caso emblematico è quello della pubblicità. Qui l’emittente definisce con precisione un target, ne analizza il profilo psicologico e sociologico e costruisce il messaggio in modo da intercettarne codici, aspettative e forme espressive. Ma, osserva Pisanty, anche testi che non mirano apertamente a persuadere il lettore sono disseminati di appelli impliciti. Perfino nel diario personale è possibile riconoscere la presenza di un’immagine di destinatario, anche quando si tratta del sé proiettato nel futuro.
Che si tratti di conversazioni quotidiane o di testi complessi, la semiotica interpretativa pone dunque l’accento sulla cooperazione richiesta al lettore. Senza la sua attività inferenziale, il testo rimarrebbe un oggetto incompiuto, incapace di generare senso. L’atto interpretativo non è un’operazione accessoria, ma il luogo in cui il testo acquista significato.
Riferimento bibliografico: Ugo Volli, Manuale di semiotica, Roma-Bari, Laterza, 2000.
