Quando si affronta un testo, la tentazione più comune è pensare che il suo significato sia già interamente inscritto nella struttura linguistica e che il lettore debba semplicemente decodificare le espressioni, magari con l’aiuto di un dizionario. La semiotica interpretativa mostra invece quanto questa visione sia ingenua: la comprensione di un testo dipende dalla presenza di una comunità di interpreti dotati dei codici necessari per attivare il suo senso.
Questo diventa evidente nei casi in cui il lettore non dispone delle competenze culturali adeguate. Un testo in una lingua ignota o un racconto proveniente da una cultura molto distante può risultare del tutto opaco, persino quando ogni parola è stata tradotta. L’esempio della fiaba eschimese è emblematico: pur conoscendo il significato dizionariale delle singole parole, il lettore non riesce a capire quale atteggiamento interpretativo adottare né quale funzione attribuire agli eventi narrati. La comprensione richiederebbe un lungo avvicinamento alla cultura che ha prodotto quel racconto: codici, tradizioni narrative, costumi, sistemi simbolici.
Questa dinamica riguarda ogni esperienza interpretativa. La separazione tra i codici dell’autore e quelli del destinatario può generare ciò che viene definito “decodifica aberrante”, lo scarto tra l’interpretazione prevista e quella effettivamente attualizzata dal lettore. Per ridurre questa possibilità, il testo mette in atto una serie di strategie che ne guidano la lettura. Pisanty ricorda alcuni degli artifici più ricorrenti: segnali introduttivi che selezionano il pubblico, ridondanze semantiche che orientano la comprensione, appelli diretti al lettore pensati per evidenziare snodi narrativi, oppure la costruzione progressiva della competenza interpretativa attraverso informazioni mirate.
Un esempio particolarmente chiaro viene dall’“Autopresentazione” di Peirce, dove il testo parla direttamente al lettore e ne istituisce la competenza. Qui l’autore modello seleziona esplicitamente il suo destinatario, ne valorizza la pazienza e la saggezza, e lo prepara ad affrontare proposizioni inizialmente controintuitive. È il testo stesso a prevenire obiezioni e a orientare l’atteggiamento fruitivo richiesto.
Il ruolo dell’interprete, nella prospettiva della semiotica interpretativa, non è dunque quello di estrarre un senso già dato, ma di cooperare con il testo per costruirlo. Quando aumentano la distanza culturale, temporale o spaziale tra testo e lettore, la possibilità di una decodifica aberrante cresce: si pensi alla difficoltà di aderire ai codici degli scrittori presocratici o della poesia cinese antica. Questa distanza non rende impossibile l’interpretazione, ma richiede un’opera di avvicinamento graduale e un uso sistematico del dubbio filologico.
La semiotica interpretativa insiste infatti sul carattere aperto del testo, che acquisisce significato solo attraverso l’interazione con il suo lettore. L’interpretazione non coincide con la libertà arbitraria del destinatario: essa è un processo cooperativo in cui il testo fornisce istruzioni, segnali, vincoli e aspettative, mentre il lettore attualizza il contenuto potenziale attraverso ipotesi continuamente verificate e corrette.
Riferimento bibliografico: Ugo Volli, Manuale di semiotica, Roma-Bari, Laterza, 2000.
