Quando un testo viene considerato “sacro”, si attiva nei suoi confronti una lettura sospettosa, eccedente, orientata alla scoperta di significati nascosti. Umberto Eco osserva che ciò è accaduto in modo sistematico con le Sacre Scritture, ma anche con testi letterari come quelli di Omero, Rabelais, Shakespeare, Virgilio e naturalmente Dante. In questi casi, l’interpretazione non si accontenta della lettera, ma cerca un “velame”, un secondo senso sotto la superficie.
Eco chiama “adepti del velame” quegli interpreti che hanno letto in Dante molto più di quanto il testo non dichiarasse, costruendo visioni esoteriche, spesso fondate sull’idea di una appartenenza dell’Alighieri a ordini segreti: templari, rosacrociani, massoni. Tra questi, nomina Gabriele Rossetti, Aroux, Valli, ma anche letture contemporanee come quelle di René Guénon.
Un tratto comune a queste interpretazioni è la costruzione di un sistema simbolico autonomo che si giustifica da sé. Un esempio paradigmatico è la teoria rossettiana del simbolo della rosa, della croce e del pellicano: tre elementi della tradizione cristiana e poetica che, secondo l’adepto, sarebbero la prova della presenza di una simbologia rosacrociana in Dante. Tuttavia, come sottolinea Eco, nel testo dantesco questi elementi appaiono separati, e non vi è alcuna evidenza che siano stati composti intenzionalmente per alludere a quel sistema.
Per sostenere la propria ipotesi, Rossetti ricorre a collegamenti arbitrari: ogni croce, ogni rosa, ogni pellicano diventa segno di un progetto segreto. Ma, osserva Eco, in Dante la rosa è un’immagine poetica comune (presente anche in Ciullo d’Alcamo e nel Roman de la Rose), la croce è simbolo religioso per eccellenza, il pellicano appare una sola volta nel Paradiso, e mai in relazione con la rosa.
Il procedimento ermeneutico di Rossetti – come di altri adepti – si fonda sul principio del terzo testo: se A e B hanno elementi comuni, deve esserci un C che li ha originati. Quando C non si trova, lo si immagina. Il sistema si regge su un eccesso di meraviglia, su analogie forzate, su giochi fonetici, su ipotesi che non possono essere né confermate né falsificate.
Eco mostra come l’approccio degli adepti del velame porti alla costruzione di sistemi autosufficienti, chiusi, sincretistici. Lo dimostra l’analisi di René Guénon, che nel Roi du Monde cerca di dimostrare che ogni tradizione culturale parla dello stesso centro spirituale sotterraneo (Agarttha). Per farlo, Guénon accumula analogie etimologiche tra luz, caelum, koilon, kalyptein, mischiando fonti e lingue diverse, senza alcuna verifica storica. Il risultato è un sistema interpretativo che slitta continuamente: ogni parola nasconde un’altra, ogni significato è segreto.
In questo tipo di lettura, ogni collegamento viene mantenuto anche quando smentito. Ad esempio, il passo di Dante in cui si parla di tre specchi che riflettono una stessa luce diventa, per Rossetti, un’allusione ai rituali massonici in cui tre luci sono disposte a triangolo. Ma, nota Eco, Dante parla chiaramente di specchi e di rifrazione ottica, in coerenza con la scienza medievale dell’ottica. Forzare il testo verso un’altra direzione significa ignorarne la lettera.
Tuttavia, la critica non si esaurisce in un semplice rifiuto. Eco riconosce che alcune di queste interpretazioni, per quanto metodologicamente errate, hanno intuito aspetti reali. L’ipotesi di un Dante “eretico”, per esempio, è oggi discussa con maggiore fondamento, e certe intuizioni di Benini o Pascoli sulle simmetrie e le strutture della Commedia si sono rivelate precorritrici.
Il problema, allora, non è solo contenutistico, ma metodologico. La semiosi ermetica, applicata alla critica, produce interpretazioni “incomparabili” rispetto al consenso ermeneutico condiviso. Mentre la tradizione critica ha sviluppato metodi per limitare l’interpretazione entro coordinate testuali e storiche, gli adepti del velame si muovono in una sfera solipsistica, in cui ogni significato è possibile perché tutto è analogico, tutto è segreto, tutto è cifrato.
Alla fine, osserva Eco, questi interpreti sono come “rapinatori che tagliano una mano per impadronirsi di un anellino in similoro”. Eppure, anche in loro è possibile riconoscere, talvolta, un segnale: l’eco deformata di una cultura medievale in cui la poesia era davvero “poesia dell’intelligenza”, e il senso non stava solo nelle parole, ma anche nei loro enigmi.
Riferimento bibliografico: Umberto Eco, La semiosi ermetica e il “paradigma del velame”, in L’idea deforme. Interpretazioni esoteriche di Dante, a cura di Maria Pia Pozzato, Milano, Bompiani, 1989.