Nel Trattato di semiotica generale, Umberto Eco distingue due domini fondamentali della disciplina semiotica: da un lato una teoria dei codici, dall’altro una teoria della produzione segnica. Stefano Traini, nel suo volume Le due vie della semiotica, si concentra inizialmente sull’analisi della prima, mettendone in rilievo gli elementi strutturali e le implicazioni teoriche, a partire dalla centralità della funzione segnica, concetto di derivazione saussuriana e hjelmsleviana.
Per definire il concetto di codice, Eco introduce un modello comunicativo estremamente semplice, basato sull’analogia con un bacino idrico chiuso da due montagne e regolato da una diga. In questo schema, una serie di lampadine rappresenta i segnali elettrici che indicano lo stato dell’acqua e inducono specifiche risposte da parte del destinatario. Ad esempio:
- AB = livello critico → evacuazione
- BC = livello d’allarme → stato d’allarme
- CD = livello di sicurezza → stato di riposo
- AD = livello di insufficienza → immissione
Partendo da questo modello elementare, Eco individua quattro fenomeni che possono essere ricondotti al concetto di codice:
- Una serie di segnali regolati da leggi combinatorie interne. Questi segnali, che non sono direttamente collegati agli stati dell’acqua o alle risposte, costituiscono un sistema sintattico: elementi come A, B, C, D che possono essere combinati secondo regole formali (A con B, C con D, ecc.).
- Una serie di stati dell’acqua, intesi come contenuti di una possibile comunicazione. Questi stati non sono vincolati ai segnali elettrici e possono essere espressi anche con altri sistemi significanti (bandiere, suoni, parole, disegni): si tratta dunque di un sistema semantico.
- Una serie di risposte comportamentali da parte del destinatario. Anche queste risposte, osserva Eco, sono autonome e possono essere suscitate da altri sistemi significanti, dando luogo a un sistema pragmatico.
- Una regola di associazione tra gli elementi dei sistemi precedenti: ad esempio, una certa sequenza di segnali si riferisce a uno stato dell’acqua o a una sua segmentazione pertinente; oppure una combinazione di segnali ed elementi semantici determina una risposta; oppure, ancora, una serie di segnali richiama direttamente una risposta, senza esplicitare alcun contenuto. Solo questa quarta opzione, secondo Eco, può essere considerata propriamente un codice.
Traini chiarisce che, pur riservando il termine codice a questa struttura complessa di associazione, Eco utilizza anche l’espressione S-codice per indicare ciascuno dei tre sistemi precedenti (sintattico, semantico, pragmatico), in quanto “sistemi” in sé, indipendenti da qualsiasi intento comunicativo. Per esempio, il sistema fonologico, o il codice Morse, possono esistere come sistemi stabili e articolati anche in assenza di un impiego concreto.
Proseguendo, Traini mostra come Eco impieghi il concetto di codice per delineare con maggiore precisione la funzione segnica. Quando un codice mette in relazione elementi di un sistema veicolante con quelli di un sistema veicolato, il primo assume la funzione di espressione, il secondo di contenuto. In questo rapporto, entrambi gli elementi divengono funtivi della correlazione.
Basandosi sulla teoria hjelmsleviana, Eco sottolinea due aspetti fondamentali:
- il segno non è un’entità fisica, in quanto la funzione segnica non si identifica con le sue realizzazioni materiali. Al massimo, si può dire che l’entità fisica costituisce un’occorrenza concreta dell’elemento pertinente del piano dell’espressione. La funzione segnica è una correlazione astratta, una relazione tra “posizioni vuote”, per usare l’espressione di Hjelmslev;
- il segno non è un’entità fissa, bensì un punto di intersezione tra elementi mutuamente indipendenti. Per questa ragione, è più corretto parlare di funzione segnica, e non di segno in senso tradizionale.
Questo implica che i segni siano risultati provvisori di regole di codifica: correlazioni transitorie, suscettibili di riconfigurarsi in altri assetti. Un’espressione come /piano/, ad esempio, può essere associata a diversi contenuti: “livello”, “progetto”, “lentamente”, “strumento musicale”. Ne deriva una concezione del significato come reticolo flessibile di relazioni mutevoli, un paesaggio molecolare in cui le aggregazioni sono temporanee, instabili, reversibili.
A questo punto, seguendo ancora Hjelmslev e Barthes, Eco introduce la nozione di connotazione come caso di “superelevazione” codificata. Quando, oltre a un primo codice che stabilisce una denotazione, interviene un secondo codice che aggiunge un ulteriore significato, si ha una stratificazione semantica.
Traini riporta un esempio tratto dal Trattato di semiotica generale: il segnale AB denota “pericolo” e connota “evacuazione”, mentre CD denota “sicurezza” e connota “riposo”. La connotazione si fonda parassitariamente sul codice denotativo: essa non può essere veicolata se non dopo che il primo significato (denotato) è stato attivato. Per questo motivo, il codice connotativo è un codice ulteriore, distinto e subordinato a quello primario.
Eco prevede anche una possibile ulteriore complessificazione dello schema: se si aggiungesse un terzo contenuto da correlare alla denotazione di base, si avrebbe un sistema ancora più stratificato, nel quale le funzioni segnico-connotative si moltiplicano, generando livelli successivi di significazione.
In sintesi, il Trattato di semiotica generale, attraverso l’analisi della funzione segnica e la costruzione di un’articolata teoria dei codici, mostra come i segni non siano entità statiche o naturali, bensì effetti provvisori e regolati, sempre inscritti in una dinamica di associazione, reinterpretazione e stratificazione.
Riferimento bibliografico: Stefano Traini. Le due vie della semiotica: Teorie strutturali e interpretative (Strumenti Bompiani)