Negli anni Sessanta, la riflessione semiotica assume un profilo sempre più articolato grazie a un intenso confronto interdisciplinare. Stefano Gensini ricorda un episodio emblematico: il convegno tenutosi nel maggio del 1962 a Bloomington, negli Stati Uniti, dedicato alla paralinguistica e alla cinesica.
Il pubblico riunito era estremamente eterogeneo: linguisti, antropologi, psicologi, biologi, psichiatri, pedagogisti. Ciò che univa prospettive tanto diverse era il tentativo di comprendere le forme di comunicazione che non appartengono al linguaggio verbale: gesti, posture, movimenti del corpo, modulazione della voce.
In questo contesto si colloca l’intervento di Margaret Mead, che propose di individuare un termine capace di abbracciare l’intero campo delle forme comunicative dotate di struttura. Mead osservava che cinesica e paralinguisticaerano solo due modalità di un dominio molto più vasto, comune a tutti coloro che studiano la comunicazione nelle sue diverse manifestazioni.
Il termine che, a suo giudizio, rispondeva meglio a questa esigenza era proprio “semiotica”. Mead notava come questa parola fosse stata impiegata da studiosi provenienti da posizioni differenti, e rappresentasse quindi un possibile punto di convergenza: un’etichetta in grado di designare lo studio di “tutte le forme di comunicazione dotate di struttura, delle quali la linguistica è quella tecnicamente più avanzata”.
Questa osservazione, citata da Gensini, mette in evidenza la natura transdisciplinare della semiotica. Non come disciplina chiusa, ma come spazio teorico comune, nel quale è possibile integrare competenze diverse: quelle che riguardano il linguaggio, certo, ma anche quelle che riguardano il corpo, il comportamento, la percezione, le forme simboliche della cultura.
In questo senso la semiotica si configura come luogo d’incontro tra scienze umane e scienze della vita, tra analisi culturale e osservazione empirica, tra studio dei testi e studio delle interazioni. Essa fornisce un vocabolario condiviso per descrivere il modo in cui significati e strutture comunicative si manifestano in ambiti differenti, assumendo configurazioni diverse ma riconducibili a un nucleo comune.
Il convegno di Bloomington rappresenta quindi un momento simbolico: la consapevolezza che la semiotica può offrire una prospettiva unificante per comprendere la complessità dei fenomeni comunicativi, senza ridurli a un unico modello, ma leggendoli attraverso la loro struttura e attraverso il modo in cui rimandano a significati.
Riferimento bibliografico: Stefano Gensini, Elementi di semiotica, Carocci editore S.p.A., Roma.
