Maria Giulia Dondero affronta una questione metodologica cruciale per la semiotica contemporanea: la necessità di ridefinire il rapporto tra l’epistemologia del testo e quella della pratica. Se la semiotica del Novecento ha costruito i propri fondamenti analizzando il testo come forma compiuta e autosufficiente, la sfida odierna consiste nel comprendere le pratiche — i gesti, le azioni, le interazioni effimere — senza abbandonare il principio di immanenza che ha storicamente caratterizzato la disciplina.
Dondero osserva che la semiotica, nel suo sviluppo, ha posto al centro della propria riflessione la questione dell’enunciazione, intesa non solo come condizione di produzione dell’enunciato ma come prassi enunciativa. L’enunciazione non si limita a manifestarsi nel testo enunciato, ma si estende all’atto stesso di produzione, all’interazione fra soggetti, alla dimensione corporea e situata dell’azione. In questo senso, l’enunciazione si presenta come il luogo teorico in cui si intersecano la riflessione sul testo e quella sulla pratica.
Secondo Dondero, l’evoluzione della semiotica francese, da Greimas a Fontanille, ha progressivamente spostato l’attenzione dal testo alla pratica significativa. Tale spostamento non implica l’abbandono della testualità, ma richiede una riformulazione del modo in cui la pratica può essere resa oggetto d’analisi. È in questa prospettiva che emergono le nozioni di testualizzazione e di notazione, concepite come strumenti metodologici capaci di rendere visibili e descrivibili le dimensioni effimere dell’azione.
Dondero sottolinea che la riflessione sulle pratiche non può prescindere dal problema epistemologico che attraversa la semiotica fin dalle sue origini: come mantenere la coerenza interna del modello immanentista pur aprendo la disciplina all’analisi di fenomeni che si manifestano nel tempo, nello spazio e nella corporeità. L’obiettivo non è dunque quello di contrapporre testo e pratica, ma di esplorare le modalità attraverso cui l’una e l’altra possono entrare in dialogo, trovando nella testualizzazione un principio di mediazione.
L’enunciazione, in questa prospettiva, si articola su diversi livelli: l’enunciazione enunciata, che appare come traccia linguistica e discorsiva nel testo; l’enunciazione in atto, che si manifesta nella dinamica stessa della produzione; e la prassi enunciativa, che comprende i gesti, le interazioni e le trasformazioni situate nei contesti reali. Questi livelli non sono gerarchici ma complementari, e la loro analisi permette di concepire la significazione come un processo incarnato, distribuito e relazionale.
Dondero ritiene che la semiotica, per rispondere alle esigenze della contemporaneità, debba dotarsi di strumenti in grado di descrivere la dimensione dinamica delle pratiche, senza ridurla a un semplice insieme di testi derivati. È necessario quindi elaborare una metodologia che consenta di passare dal piano dell’osservazione empirica a quello dell’astrazione teorica, mantenendo una costante tensione fra descrizione e modellizzazione.
Il confronto fra epistemologia del testo ed epistemologia della pratica non rappresenta, per Dondero, una frattura, ma un’estensione del campo semiotico. La pratica non è un oggetto esterno alla semiotica, ma una forma di discorsività che si realizza attraverso corpi, oggetti e interazioni. In questa direzione, la prassi enunciativa diventa il terreno privilegiato per comprendere come la significazione si produca e si trasformi all’interno dell’esperienza vissuta.
Riferimento bibliografico: Maria Giulia Dondero, Sémiotique de l’action: textualisation et notation, in Actes Sémiotiques, n. 121, 2018.
