Per Vladimir Propp, le unità costitutive della fiaba non sono i personaggi, bensì le funzioni. Atti identici, osserva, possono essere eseguiti da personaggi diversi, con attributi diversi. Le funzioni sono limitate nel numero e costanti, mentre gli attributi dei personaggi costituiscono la parte variabile della favola. Con il termine “attributi”, Propp si riferisce a tutte le caratteristiche esteriori: età, sesso, condizione sociale, aspetto. È proprio questa variabilità, però, a conferire alla fiaba il suo fascino e la sua vivacità.
Tuttavia, per Propp, questa ricchezza figurativa è polimorfica e quindi difficilmente controllabile dall’analisi. Gli attributi costituiscono il contenuto, che egli contrappone alla forma, riservata allo schema funzionale. In nome di questa opposizione tra forma trasparente e contenuto opaco, Propp decide di escludere lo studio del contenuto, per concentrarsi unicamente sulla forma.
Secondo Patrizia Magli, è proprio questa opposizione che sarà successivamente criticata dallo strutturalismo. Quest’ultimo la considera il limite stesso del formalismo. Claude Lévi-Strauss, nella sua prefazione all’edizione francese della Morfologia della fiaba, afferma che Propp ha avuto il merito di scoprire ciò che accomuna le fiabe, ma non ha permesso di comprendere in cosa esse differiscono. La sua critica può essere riassunta in un passaggio fondamentale: “siamo passati dal concreto all’astratto, ma non siamo capaci di risalire dall’astratto al concreto”.
Lévi-Strauss sostiene che la forma, in quanto struttura, non si oppone al contenuto, ma è contenuto essa stessa: «contenuto colto all’interno di una forma». Anche quando Propp suddivide la fiaba in forma e contenuto, attribuendo alla prima l’essenziale e al secondo un ruolo accessorio, resta fedele a una concezione formalista che lo strutturalismo intende superare. Per quest’ultimo, la forma è intelligibile solo in quanto contenuto organizzato, e il contenuto, a sua volta, è significativo solo se messo in forma.
Nell’ottica strutturalista, dunque, forma e contenuto non possono essere separati: hanno la stessa natura, derivano dalla stessa struttura e sono oggetto della medesima analisi. Come sottolinea Lévi-Strauss, il contenuto stesso «deriva la sua realtà dalla sua struttura» e ciò che definisce una struttura è la sua “messa in forma”. In questa prospettiva, la “forma” non è l’opposto del contenuto, ma è «forma del contenuto», secondo la terminologia hjelmsleviana.
Un altro punto di divergenza riguarda la nozione di azione. Per Propp, le funzioni – e non i personaggi – costituiscono l’elemento permutabile. Ma per lo strutturalismo, il senso di un’azione cambia a seconda dell’agente che la compie. Se a compiere un’azione è un re o una pastorella, cambia il significato stesso dell’azione. Lévi-Strauss afferma che nella fiaba i termini come «pastorella» sono mezzi sensibili, che servono per costruire un sistema di opposizioni intelligibili.
La figura del personaggio non è dunque un’unità semplice, ma un fascio di elementi differenziali. Per esempio, la “pastorella” è definita da opposizioni come femmina/maschio, basso/alto, natura/cultura. La funzione simbolica del personaggio si costruisce attraverso queste opposizioni, che costituiscono la struttura del racconto. È su questa base che lo strutturalismo costruisce la sua critica al formalismo: perché il senso di un testo non nasce solo dallo schema delle funzioni, ma anche dalla rete semantica attivata dalle figure che le realizzano.
Riferimento bibliografico: Patrizia Magli, Semiotica. Teoria, metodo, analisi, Marsilio, 2004.