Che cos’è la semiotica?
Stefano Gensini introduce la questione con due domande semplici e radicali: che cos’è la semiotica? e perché la semiotica?
Per rispondervi, egli propone di partire non da definizioni astratte ma dall’esperienza quotidiana, dove ognuno di noi può osservare che “tutto il nostro vivere sembra tramato di segni”.
Il termine semiotica deriva dal greco sēmeion (“segno”) e sēmeiotikós (“relativo ai segni”). Se per “segno” intendiamo qualcosa che rinvia a qualcos’altro, l’intera vita umana appare immersa in un universo di rinvii e mediazioni. Le parole stesse sono segni: strumenti attraverso i quali comunichiamo pensieri, sentimenti, intenzioni. Con esse salutiamo, chiediamo, promettiamo, persuadiamo, ci confidiamo.
Anche il comportamento degli animali mostra tratti comunicativi: il cane che abbaia festoso invitando al gioco o il gatto che, girandoci intorno, fa capire che ha fame. Allo stesso modo, il bottone dell’ascensore che premiamo “per dirgli” di scendere, o le spie dell’automobile che ci informano su ciò che funziona o meno, sono segni che traduciamo in azioni e decisioni.
La strada, poi, è un intreccio di messaggi: segnali, cartelloni pubblicitari, suoni, parole trasmesse dalla radio, gesti di chi comunica attraverso la lingua dei segni. Anche l’aspetto di una persona, un tatuaggio, un’espressione del volto o un modo di vestire possono essere letti come segni: manifestazioni che rimandano a stati d’animo, identità o appartenenze culturali.
Gensini mostra come, in tutti questi casi, operiamo spontaneamente una forma di interpretazione. Riconosciamo relazioni tra fenomeni e significati, attribuendo valore di segno a esperienze eterogenee — dalle luci dell’automobile a un comportamento umano, da un ambiente architettonico a un messaggio verbale. Persino il luogo di lavoro, con le sue forme e materiali, “comunica” sensazioni diverse, suggerendo un’idea di benessere o di oppressione.
Questa attitudine interpretativa, osserva Gensini, è in fondo una disposizione antica. Gli uomini del Medioevo vedevano nel mondo intero un sistema di segni e simboli: la selva oscura, la lupa, la figura del poeta — tutte immagini che rimandavano a un significato morale o universale. Anche se l’uomo moderno si crede distante da quella mentalità, continua a dire che “tutto è comunicazione” e che viviamo “nella civiltà dell’immagine”.
Attribuire senso, dunque, è un gesto costitutivo del vivere umano. E riconoscere la pervasività dei segni significa assumere quello che l’autore chiama uno “sguardo semiotico”: un modo di osservare la realtà come rete di relazioni significative, in cui ogni elemento può farsi veicolo di un senso.
Riferimento bibliografico: Stefano Gensini, Elementi di semiotica, Carocci editore S.p.A., Roma.