Nel delineare una teoria della conoscenza che integri semiotica, filosofia e scienze cognitive, Umberto Eco attribuisce un ruolo fondamentale alla nozione peirceana di Oggetto Immediato. Esso non va confuso con l’oggetto empirico nel suo darsi sensibile: è piuttosto la costruzione concettuale che il segno propone del suo oggetto, ciò che di un oggetto è accessibile nell’atto semiosico.
Secondo Eco, l’Oggetto Immediato coincide spesso con ciò che nel linguaggio comune chiamiamo “significato”: non è il referente in sé, ma ciò che un segno mostra del suo referente, attraverso un’operazione di figurazione e selezione.
Il passaggio dalla sensazione al significato avviene attraverso la mediazione di uno schema. Lo schema è il dispositivo cognitivo che permette di selezionare, organizzare e rendere intelligibili i dati percettivi. È grazie allo schema che una forma sensibile si trasforma in un oggetto: non perché ne esaurisca la realtà, ma perché ne rende disponibile una configurazione interpretabile.
Eco sottolinea che lo schema non è un semplice filtro, né un’immagine fissa: è una struttura dinamica che opera in modo selettivo e modulare. Ogni atto percettivo implica la scelta di certe proprietà come rilevanti, a scapito di altre. Questa selezione è ciò che permette di identificare qualcosa come un “oggetto”, e di cominciare a parlarne.
Il giudizio percettivo — per esempio, “questo è un orologio” — è già il risultato di una inferenza. Non si tratta di un rispecchiamento del reale, ma di una costruzione che implica l’adesione a uno schema condiviso. La conoscenza, allora, non si limita a registrare ciò che c’è: costruisce ciò che ritiene significativo.
Eco integra qui la prospettiva peirceana con quella kantiana. Lo schema, come in Kant, è una condizione per l’applicazione del concetto alla realtà sensibile. Ma è anche, in senso peirceano, un effetto della semiosi: una risposta interpretativa a una sollecitazione esterna. Lo schema non è dunque né puramente soggettivo né oggettivo, ma nasce nell’interazione tra il soggetto e il mondo.
In questo senso, l’Oggetto Immediato non è semplicemente “quello che vediamo”, ma è ciò che la nostra cultura, il nostro linguaggio, la nostra abitudine a schematizzare ci permettono di riconoscere. È il modo in cui ci appare ciò che decidiamo di considerare un oggetto.
Eco insiste sul carattere progressivo e trasformabile di questa costruzione. Il significato non è dato una volta per tutte: si modifica, si arricchisce, si articola attraverso nuove esperienze e nuovi schemi. L’interpretazione evolve nel tempo e nelle pratiche condivise. Ma proprio questa sua natura instabile è ciò che la rende produttiva: il significato non è l’esito, ma il motore della semiosi.
Un esempio emblematico è ancora l’ornitorinco. Prima di essere riconosciuto come una nuova specie, è stato percepito come un ibrido, un oggetto anomalo, un falso. Solo attraverso la costruzione di uno schema concettuale condiviso è diventato l’“ornitorinco” che oggi conosciamo. In questo processo, l’Oggetto Immediato non coincide mai con la realtà ultima dell’animale, ma con la sua immagine concettuale provvisoria all’interno di una semiosi in corso.
In conclusione, Eco propone di intendere il significato non come qualcosa che sta dietro il segno, ma come l’articolazione del modo in cui un oggetto si rende accessibile all’interpretazione. È una costruzione negoziata, storicamente variabile, ma ancorata alla resistenza del reale, alla risposta del mondo ai nostri tentativi di significarlo.
“Ogni significato è una forma provvisoria dell’oggetto che stiamo imparando a conoscere.”
Riferimento bibliografico: Umberto Eco, Kant e l’ornitorinco, Milano, Bompiani, 1997.