Nel primo capitolo di Kant e l’ornitorinco, Umberto Eco affronta il tema dell’essere a partire da un paradosso: “non si può dire l’essere”, e tuttavia lo si dice. L’essere è oggetto di discorso in molti ambiti — dalla poesia alla mistica, dalla scienza alla filosofia — e in molte lingue, ciascuna con modalità proprie. Da qui la domanda: questi discorsi usano un termine omonimo per dire cose diverse, oppure si riferiscono effettivamente a un medesimo contenuto, pur con diversa chiarezza?
Questo interrogativo attraversa l’intera tradizione filosofica. Eco richiama il Cratilo di Platone, dove si discute se i nomi dicano la natura delle cose o siano frutto di convenzione. Aristotele, nella Metafisica, si interroga sull’eventuale omonimia dell’essere. Il Medioevo elabora la teoria dell’analogia entis. San Tommaso afferma che “esse est quod primum cadit in apprehensione intellectus”, ma Eco nota come questa definizione, pur illuminante dal punto di vista gnoseologico, risulti problematica sul piano semantico: l’essere non si lascia definire come un termine tra gli altri.
Il verbo “essere” funziona in molti modi: come copula, come predicato esistenziale, come ausiliare. Di conseguenza, le definizioni dell’essere rischiano di cadere in una polisemia strutturale, difficilmente riducibile. Alcuni filosofi, come Pascal, lo considerano un “primitivo semantico”, cioè un termine non ulteriormente scomponibile, da assumere come base dell’interpretazione. Ma questa soluzione non elimina il problema: un primitivo semantico resta comunque usato in contesti e modi differenti, e la sua opacità semantica non lo sottrae all’analisi.
Eco invita allora a non ridurre il discorso sull’essere a una ricerca definitoria, ma a considerare la sua funzione come punto di partenza. Se non possiamo dire che cosa sia l’essere, possiamo però osservare come lo diciamo, e quali implicazioni comporti questo dire. Parlare dell’essere non significa solo impiegare un concetto filosofico: significa attivare una serie di strategie linguistiche, logiche e cognitive che rivelano il modo in cui si costruisce il senso dell’oggetto nel linguaggio.
In questo quadro, la semiotica può contribuire non offrendo una definizione dell’essere, ma mostrando i modi in cui l’essere diventa oggetto di enunciazione. Il linguaggio non è un semplice strumento neutro, ma un dispositivo che seleziona, organizza, articola. E il verbo “essere” — così fondamentale eppure così sfuggente — si trova al centro di questa dinamica.
Eco non si limita a descrivere la difficoltà del dire l’essere: la assume come punto di partenza per interrogare le condizioni stesse della conoscenza, e per rimettere in questione il rapporto tra parola e mondo. Parlare dell’essere, per quanto inevitabile, significa entrare in una zona di instabilità semantica, dove il senso si costruisce per approssimazioni, congetture, tensioni.
Riferimento bibliografico: Umberto Eco, Kant e l’ornitorinco, Milano, Bompiani, 1997.