Nel saggio del 1973 intitolato Le comunicazioni di massa in Italia: sguardo semiotico e malocchio della sociologia, Paolo Fabbri propone un titolo provocatorio che ancora oggi – osserva Federico Montanari – risulta decisivo per ridefinire le relazioni fra la semiotica e le altre scienze umane e sociali. Il confronto implicito tra lo “sguardo” e il “malocchio” segna una frattura epistemologica, ma anche l’avvio di una riflessione metodologica originale.
Il punto di partenza è la scelta lessicale: perché parlare di sguardo e non, ad esempio, di punto di vista o di osservazione? Lo sguardo, sottolinea Montanari, è già una forma di punto di vista, ma contiene in sé una dimensione aspettuale e affettivo-passionale. Il riferimento ai dizionari, come insegnano Fabbri e Greimas, conferma che “sguardare” è un atto che determina e rende esplicite le modalità del guardare. La semiotica si distingue dunque per il modo in cui tematizza l’osservazione: ne esplicita le condizioni, ne analizza i dispositivi, ne interpreta le tensioni.
Questo approccio si ritrova anche nella produzione più recente di Fabbri, in particolare nei saggi sull’arte riuniti in Pensare ad arte (2021). In questi studi, lo sguardo è concepito come un dispositivo, un congegno trasformativo che converte la “mera materia” in “sostanze disponibili al senso”. Tale dispositivo è anche un diagramma, nel senso deleuziano del termine: uno schema di forze e tensioni, che opera non solo sulle opere d’arte, ma su ogni fenomeno socio-culturale osservabile.
Il diagramma esplicita le modalità dell’osservazione e mette in evidenza le forze in campo: dislocazioni, perturbazioni, intensità. Per Fabbri, lo sguardo non si limita a rilevare queste forze: le produce e le orienta. È uno sguardo che agisce nel e sul testo, in una prospettiva relazionale e testuale. Come osserva Montanari, Fabbri resta ancorato a una visione radicalmente testualista, secondo cui i fenomeni socio-culturali si danno sempre in forma testuale – nel doppio senso del “prendersi alla lettera” e del “pensarsi come testi”.
In questa visione, il testo è inteso come “istanza di significazione” (Halliday), dinamica, situata in un contesto sociale, capace di imporsi con la sua forza e il suo campo tensionale. Montanari richiama qui anche il pensiero di Goodman, autore molto amato da Fabbri, secondo cui l’arte non si limita a rappresentare istanze culturali, ma è un esperimento scientifico sui modi di costruzione della realtà. Le opere, come scrive Goodman, «formano, relazionano e distinguono oggetti». La natura non imita l’arte, ma è “un prodotto dell’arte e del discorso”.
In sintesi, Montanari interpreta il primo saggio di Fabbri come l’inizio di una teoria e pratica dello sguardo. Una paradigmatica che si sviluppa fino agli ultimi scritti, passando per l’analisi delle immagini, dei dispositivi e dei testi. Uno sguardo che non è neutro né passivo, ma costruttivo, affettivo, relazionale. Uno sguardo che è già metodo, e che fa della semiotica un’arte dell’intervento.
Riferimento bibliografico: Federico Montanari, La semiotica e le “altre”, in «Versus», n. 133, 2/2021, pp. 273-284.