La Svolta Semiotica. Paolo Fabbri propone una riformulazione teorica della semiotica che superi gli ostacoli epistemologici legati alla nozione tradizionale di segno: abbandonare l’idea che i segni siano entità percepibili in sé, assegnabili a un lessico o a un’enciclopedia, e cominciare a considerarli come strategie semiotiche. In questa prospettiva, i lessemi non sono che strategie linguistiche necessarie per utilizzare la lingua, per far funzionare il senso, per articolare la significazione.
A sostegno di questa impostazione, Fabbri richiama la glossematica di Louis Hjelmslev, e in particolare la sua diffidenza verso la nozione stessa di segno. Per Hjelmslev, i segni sono eventi storicamente determinati e variabili in funzione della storia differente in cui si trovano a essere coinvolti. Il compito della semiotica diventa allora quello di articolare il significato in unità elementari, così come la fonologia costruisce i suoni di una lingua a partire dai tratti fonemici. La combinazione differenziale di queste unità elementari genera “eventi di senso diversi”, cioè differenti unità significative determinate dal contesto.
Questa analisi presuppone, osserva Fabbri, una mossa teorica decisiva: separare le due facce del segno, ovvero il piano dell’espressione e quello del contenuto. Anche se la relazione tra significante e significato è arbitraria (affermazione che Fabbri invita a rimettere in discussione), è solo a partire da questa separazione preliminare che si può pensare alla loro correlazione. “Espressione e Contenuto sono fra loro in presupposizione reciproca (…) ma non sono coincidenti”; e “ogni piano del linguaggio ha strutture proprie che risultano essere simili, ossia isomorfe, solo a un livello superficiale dell’analisi, non in quelli più profondi”.
Questo porta Fabbri a distinguere chiaramente il modello saussuriano da quello peirciano. Mentre in Hjelmslev si conserva la distinzione tra espressione e contenuto, in Peirce ogni segno, inteso come totalità, rinvia a un altro segno, senza separazione interna tra significante e significato. È anche per questo che, secondo Fabbri, la posizione peirciana è precedente – teoricamente più che cronologicamente – all’ipotesi saussuriana.
Questa distinzione è fondamentale anche per mettere in discussione alcune letture semplificate della semiotica, come quelle presenti nelle prime opere di Derrida. In Della grammatologia, ad esempio, il significante viene identificato con il percettivo e il significato con il concettuale. Una tale divisione, osserva Fabbri, ripropone antiche opposizioni filosofiche tra corpo e anima, materia e spirito, riducendo la semiotica a una teoria dei segni sganciata dalla realtà.
È proprio questa idea che Fabbri rifiuta con decisione. Una semiotica che ignora il problema del referente, che separa i segni dalle cose e dalle persone che li usano, diventa una disciplina “vagamente idealistica”, incapace di rendere conto delle relazioni concrete tra linguaggio e realtà.
Per mostrare l’insufficienza di questa impostazione, Fabbri cita un esempio tratto da Michel Foucault e Gilles Deleuze. Secondo Deleuze, nella lettura di Sorvegliare e punire, l’illegalità è da intendersi come forma del contenuto, mentre la prigione come forma dell’espressione. Non si tratta quindi di distinguere tra la parola prigione e le prigioni reali, ma di mettere in relazione strutturale le pratiche discorsive e le strutture materiali. Anche il braccialetto elettronico, osserva Fabbri, è un dispositivo che rientra in questa relazione tra segni, segnali e organizzazione degli spazi.
Da qui la tesi, assunta da Foucault, secondo cui la sola realtà esistente non è né nelle parole né nelle cose, ma negli oggetti. Gli oggetti sono “l’esito di quell’incontro tra parole e cose che fa sì che la materia del mondo diventi – grazie alla forma organizzativa concettuale dentro cui viene posta – una sostanza articolata da quella forma”. In questa prospettiva, la semiotica non si occupa di cose in sé, né di pure rappresentazioni, ma di oggetti formati, articolazioni complesse di forma e sostanza, parole e materia, concetto e percezione.
Questa concezione, afferma Fabbri, permette di superare anche la visione atomistica della lingua e del senso. Non si tratta più di ridurre il linguaggio a unità minime e poi ricomporle, ma di investire universi di senso complessi e articolati. Gli oggetti, in questa accezione, possono essere parole, gesti, immagini, suoni, sistemi di luce, stati di materia: “tutto quello che è in gioco nella comunicazione”.
Riferimento bibliografico: Fabbri, P. (1998). La svolta semiotica. Italia: Laterza.