Esistono metodi preferibili ad altri per condurre l’analisi di un testo? Ogni metodologia comporta interrogativi realmente diversi nei confronti dell’oggetto analizzato? Michela Deni affronta queste domande partendo dal confronto tra approcci teorici eterogenei: la psicoanalisi, che si interroga sulle motivazioni profonde del soggetto, e la semiotica, che si concentra sulla costruzione del significato.
La legittimità di tali interrogativi è evidente nel momento in cui si deve scegliere tra approcci interpretativi differenti, soprattutto quando questi sembrano collocarsi su piani epistemologici distinti. La semiotica, nella sua specificità, si è costruita come disciplina scientifica proprio a partire dal testo, inteso come unità significante delimitata, coerente e gerarchizzata – secondo la definizione formulata da Hjelmslev e ripresa da Greimas.
In questo quadro, è necessario ricordare che la descrizione scientifica, per essere tale, deve rispettare il principio d’empirismo definito da Hjelmslev nei Prolégomènes, secondo il quale l’analisi deve soddisfare tre condizioni gerarchizzate: la non contraddizione (o principio di coerenza), l’esaustività e la semplicità. Il “fare del semiologo” richiede dunque procedure rigorose, in grado di condurre a una descrizione adeguata dell’oggetto analizzato.
Tali principi metodologici, propri della scuola di Parigi, sono – come sottolinea l’autrice – quelli a cui ha costantemente cercato di riferirsi nella sua pratica scientifica. In questo senso, la riflessione metodologica non è mai astratta: quando si tratta di scegliere una via di accesso a un testo, le nozioni di testo e di descrizione diventano operative, poiché la scientificità di una metodologia si misura nei canoni che guidano il processo di indagine.
L’autrice racconta di essersi confrontata, sin dagli inizi del proprio percorso, con opere complesse come La morte a Venezia e Il Moïse di Michelangelo, analizzato da Freud. In entrambi i casi, la scelta della metodologia più adeguata ha comportato un confronto diretto con studiosi di altissimo profilo come Kohut e Freud. L’interesse per il testo freudiano non ha comportato alcun imbarazzo iniziale, in quanto si trattava di confrontarsi con studi classici, pienamente coerenti con la teoria psicoanalitica. Tuttavia, proprio per questo motivo, accettare le motivazioni di Freud avrebbe significato allontanarsi dai principi costitutivi della semiotica, tra cui la definizione di testo e il principio d’empirismo.
Freud, nell’analizzare la scultura di Michelangelo, arriva a conclusioni che mettono in luce i conflitti psicologici dell’artista nel rapporto con papa Giulio II. Questa prospettiva risulta incompatibile con un approccio semiotico orientato alla coerenza descrittiva e alla delimitazione dell’oggetto testuale. Accettare l’interpretazione freudiana, perfettamente coerente con il paradigma psicoanalitico, avrebbe significato rinunciare a quella fedeltà ai principi epistemici della semiotica che l’autrice ha deciso di adottare.
A questo punto sorge un’obiezione cruciale: come spiegare testi come La morte a Venezia o una scultura come il Moïse rimanendo nei limiti imposti dalla definizione semiotica di “testo”? I testi contengono davvero le proprie regole interpretative? E quando si ha a che fare con sculture che rispettano codici iconografici storicamente determinati, come nel caso del Moïse di Michelangelo, è legittimo ignorare tali codici?
Deni evidenzia che il Moïse, pur atipico nella rappresentazione del personaggio biblico, possiede attributi iconografici che dovrebbero risultare chiari agli osservatori. Tuttavia, le difficoltà di collocazione temporale del momento biblico raffigurato (la postura, la barba, le mani, lo sguardo, le tavole della legge) aprono un ventaglio interpretativo complesso, che può essere affrontato solo integrando i diversi livelli dell’analisi semiotica: figurativo, narrativo e patemico.
In questo contesto, torna significativa la celebre affermazione di Greimas: “hors du texte, point du salut”. Una formula che, lungi dall’escludere il contesto, lo integra nella nozione stessa di testo, così come concepita dalla semiotica dell’école de Paris e successivamente articolata attraverso i livelli di pertinenza. La nozione di contesto, pur problematica e talvolta generica, viene qui assunta come parte attiva di una concezione allargata del testo, che ne riconosce la stratificazione epistemologica e l’articolazione analitica.
Riferimento bibliografico: Michela Deni. Contributions à l’histoire et à la théorie sémiotique du design et du projet : De l’analyse à l’approche prévisionnelle. Sciences de l’information et de la communication. Université de Nîmes, 2015.