Lotman chiarisce che, parlando dell’espressività materiale del testo, si fa riferimento a una proprietà specifica dei sistemi semici: la loro sostanza materiale «non sono le “cose”, ma i rapporti delle cose». Anche il testo letterario è dunque costruito come una forma di organizzazione, vale a dire come «un certo sistema di rapporti che costituiscono le sue unità materiali».
Proprio per questo, tra i diversi livelli del testo si possono stabilire collegamenti strutturali complementari, ovvero rapporti tra diversi tipi di sistemi. Il testo si suddivide in sotto-testi — come il livello fonologico, il livello grammaticale, ecc. — ciascuno dei quali «può essere considerato organizzato in modo autonomo». I rapporti strutturali tra i livelli diventano così una caratteristica determinata del testo nel suo insieme.
Questi legami costanti, sia all’interno di ciascun livello che tra un livello e l’altro, conferiscono al testo il suo carattere di invariante. Tuttavia, il funzionamento del testo nell’ambiente sociale genera una tendenza alla suddivisione in varianti. Tale fenomeno è stato studiato con particolare efficacia nel folklore e nella letteratura medievale.
Secondo Lotman, si ritiene spesso che la tecnica della stampa, imponendo alla cultura una lingua grafica, abbia condotto alla scomparsa delle varianti nei testi letterari. Ma «non è per niente così». È sufficiente «incidere su un nastro la lettura della stessa poesia fatta da diversi lettori» per accorgersi che «il testo stampato fornisce solo un certo tipo invariante di testo» — ad esempio a livello dell’intonazione — mentre le registrazioni rivelano le sue varianti.
Anche nella letteratura contemporanea, se osservata dal punto di vista del lettore anziché da quello dello scrittore, risulta evidente la persistenza della variabilità. E inoltre, il problema del testo e delle sue varianti si pone in pieno anche per il critico testuale.
Il testo, afferma Lotman, si presenta come «un sistema invariante di rapporti». Questo fatto diventa evidente soprattutto nei tentativi di ricostruzione di opere mutilate o perdute. Si tratta di un compito ben noto nel lavoro dei folkloristi, ma anche della medievalistica, ed è presente regolarmente anche nello studio della letteratura moderna.
Così, ad esempio, si sono moltiplicati — specialmente tra i puskinisti — gli sforzi di ricostruire le intuizioni e i piani creativi del poeta, o di ristabilire testi perduti. Tali tentativi sarebbero illegittimi, se il testo non si presentasse come una costante nei suoi limiti di struttura.
Lotman osserva inoltre che, con questo approccio, è possibile esaminare un gruppo di testi (adesempio, la commedia russa del XVIII secolo) come se fosse «un unico testo», descrivendo il sistema delle sue regole invarianti e riconducendo tutte le differenze a varianti generate nel processo del suo funzionamento sociale.
Una simile operazione può essere compiuta anche a un livello più alto: si può ad esempio considerare la «letteratura d’arte del XX secolo» come un testo unico, descritto attraverso rapporti di varianti e invarianti, collegamenti extrasistematici e sistematici.
In tal modo, se si prende un gruppo di testi isomorfi in base a un certo criterio e lo si descrive come un testo unico, tale descrizione conterrà soltanto elementi sistematici, mentre i testi stessi appariranno come una «complessa unione di elementi organizzati (sistematici, rilevanti) e non organizzati (extrasistematici, non rilevanti)».
Ne consegue che un testo di livello superiore, rispetto a quelli inferiori, funge da lingua di descrizione. E la lingua della descrizione dei testi artistici, in un certo rapporto, sarà isomorfica a questi testi.
Riferimento bibliografico:
J. Lotman, Il concetto di testo, in La struttura del testo poetico, trad. it. di E. Bazzarelli, E. Klein, G. Schiaffino, Mursia, Milano 1972, pp. 67–71.