Carlo Sini osserva che la domanda sulla “vita della lingua” conduce immediatamente alla questione della “vita dei segni”. Quando Saussure affronta questo livello più profondo, emergono due aspetti essenziali.
Il primo riguarda la posizione dell’individuo e della società nei confronti dei segni. Sini sottolinea la formulazione saussuriana secondo cui la vita dei segni “sfugge alla volontà individuale e sociale”. Chi parla non decide i segni: vi è già inserito. L’individuo e la collettività non precedono la vita semiologica, ma ne sono funzioni. Il pensiero, in questa prospettiva, “emerge entro la vita dei segni”, non la fonda.
Il secondo aspetto è che, pur non essendo voluti né creati deliberatamente, i segni sono tuttavia fenomeni essenzialmente sociali. Sini insiste sul fatto che, per Saussure, ciò che funziona come segno è arbitrario e convenzionale. La loro esistenza non dipende da un rapporto naturale con il significato, ma da una pratica collettiva che si è costituita nel tempo.
Proprio questo porta Saussure a concepire una nuova scienza. Sini cita la formulazione: “Si può concepire una scienza che studia la vita dei segni nel quadro della vita sociale; (…) noi la chiameremo semiologia”. La lingua vi appare come il suo caso più importante, ma non come l’unico. Saussure accosta alla lingua la scrittura, l’alfabeto dei sordomuti, i riti simbolici, le forme di cortesia, i segnali militari: sistemi diversi, accomunati dal fatto di “esprimere idee” attraverso segni.
L’idea di una scienza dei segni ha per Sini un valore decisivo. Saussure sostiene che “il problema linguistico è anzitutto semiologico”, e che per comprendere la natura della lingua bisogna partire da ciò che essa ha in comune con gli altri sistemi dello stesso ordine. Questo permette di osservare la lingua non come un insieme di fenomeni acustici o psicologici isolati, ma come un sistema formale.
Da questa prospettiva, elementi che potrebbero sembrare essenziali — come l’apparato fonatorio o le caratteristiche fisiche dei suoni — diventano secondari. Ciò che conta è il segno come unità psichica composta da significante e significato. Sini insiste su come Saussure chiarisca che essi non possono essere pensati separatamente: l’immagine acustica è una “traccia psichica”, e il concetto è inseparabile dal suo correlato sonoro interno.
La semiologia, così definita, orienta l’intera costruzione teorica del Cours. Sini osserva che, secondo Saussure, solo considerando “riti, costumi ecc. come segni” essi possono apparire in una luce nuova. Ciò non vale solo per le manifestazioni simboliche, ma per ogni forma di vita sociale che dipenda da una convenzione collettiva. Per questo la lingua deve essere studiata come un sistema di segni e non come una somma di fenomeni eterogenei.
L’inserimento della linguistica nella semiologia non è per Saussure un fatto marginale. Secondo Sini, esso orienta tutte le sue soluzioni teoriche: la centralità dell’arbitrarietà, la concezione della lingua come istituzione sociale, la necessità di distinguere la langue dalla parole, lo statuto del valore linguistico. Ogni problema, per essere affrontato correttamente, deve essere riportato alla natura semiologica del segno.
In questo senso, la “vita dei segni” costituisce il fondamento stesso della scienza del linguaggio. Per Sini, è precisamente questo gesto concettuale a rendere il Cours un’opera rivoluzionaria e a farne il punto di partenza delle correnti strutturalistiche che ne seguiranno.
Riferimento bibliografico: Carlo Sini, Semiotica ed ermeneutica nel pensiero contemporaneo, Libreria Cortina, Milano. Anno accademico 1977–1978.
