Secondo Émile Benveniste, la soggettività non è un dato psicologico, né una semplice coscienza di sé. È invece una proprietà che nasce nel linguaggio stesso. «È nel linguaggio e mediante il linguaggio che l’uomo si costituisce come soggetto», scrive, poiché solo il linguaggio fonda nella realtà il concetto di ego.
La soggettività, intesa come «capacità del parlante di porsi come soggetto», non si definisce attraverso la riflessione interiore ma come un’unità psichica che trascende le esperienze vissute e ne assicura la continuità. Essa, aggiunge Benveniste, «non è altro che l’emergere nell’essere di una proprietà fondamentale del linguaggio». In questo senso, «è “ego” che dice “ego”»: la soggettività si determina nello statuto linguistico della persona.
La coscienza di sé è resa possibile solo dal contrasto con l’altro. «Io non uso io se non rivolgendomi a qualcuno, che nella mia allocuzione sarà un tu». Questa condizione dialogica è costitutiva della persona, perché implica reciprocità: chi parla come io diventa tu nell’allocuzione dell’altro. Da tale principio dipende la stessa possibilità del linguaggio.
Il linguaggio è possibile solo in quanto ciascun parlante si pone come soggetto, rimandando a se stesso come io nel discorso. Così io pone un’altra persona, esterna a sé, che diventa l’eco a cui egli dice tu e che, a sua volta, gli dice tu. La comunicazione, da cui sembrava tutto partire, non è che una conseguenza pragmatica di questa polarità originaria.
Riferimento bibliografico: Émile Benveniste, Problemi di linguistica generale, trad. it. di Maria Vittoria Giuliani, Milano, Il Saggiatore, 1971.
