Quando oggi si parla di semiosfera, il riferimento immediato è Juri Lotman. Eppure, la storia del termine è più complessa. Kalevi Kull mostra come la parola fosse già comparsa in stampa nel 1961, molto prima che il concetto diventasse centrale nella semiotica della cultura. È il polacco Mieczysław Wallis a usarla per descrivere la condizione umana come immersione totale nei segni. La ricostruzione di Kull dimostra che il termine è stato “coniato indipendentemente almeno tre volte”, e che la genealogia della semiosfera ha radici insospettate.
Wallis insiste sulla natura ininterrotta dell’esperienza semiotica: gli esseri umani percepiscono e formano segni, li inviano e li ricevono senza tregua, vivono e si muovono “nel regno dei segni”, sono “avvolti da una ‘semiosfera’”. L’enunciazione è forte perché lega la possibilità stessa della vita umana alla dimensione segnica: senza i segni non vi sarebbe il mondo umano, non esisterebbe Homo sapiens. Nei testi successivi, la stessa immagine ricompare con la stessa radicalità: senza i segni non ci sarebbero né cultura né “human world”, né l’uomo come tale. La semiosfera è dunque, già in questa prima comparsa, il milieu in cui la vita umana prende forma.
Il termine non rimane isolato. Wallis ne fa uso in più occasioni, e in un altro intervento propone il termine “sem” per unificare segni e simboli, delineando una “sem-sphere” che si divide in “sign-sphere” e “symbol-sphere”. L’equivalente polacco (“semosfera”, “sygnosfera”, “symbolosfera”) mostra una riflessione ampia, che cerca di organizzare l’intero dominio dei fenomeni significativi attraverso una terminologia coerente. È sorprendente che tutto ciò sia rimasto pressoché invisibile nella storiografia semiotica: le citazioni del termine sono state rarissime e neppure i biografi di Wallis lo hanno considerato come elemento distintivo della sua opera. A volte il termine appare persino citato senza che venga sottolineata la sua presenza, come se non fosse rilevante.
Questa marginalità contrasta con la successiva fortuna del concetto. Prima che Lotman lo sistematizzasse, il termine appare anche in un articolo di Walter Moser del 1979, e più tardi Jesper Hoffmeyer lo rilancia in modo indipendente, proponendo di estenderlo a tutti i processi di significazione nel vivente. Ma la svolta decisiva resta quella lotmaniana: nei primi anni Ottanta la semiosfera diventa un concetto-guida per la semiotica della cultura, un modello generale capace di descrivere l’ambiente complessivo delle interazioni segnico-testuali.
Un dettaglio rilevante, sottolineato da Kull, è che Lotman aveva effettivamente letto l’articolo del 1961 in cui il termine compariva per la prima volta; ne discute infatti uno dei contenuti teorici e la copia conservata mostra sue note a margine. Proprio la pagina in cui appare la parola “semiosfera”, tuttavia, non presenta annotazioni e non è possibile stabilire se Lotman l’avesse notata o se semplicemente non le attribuì peso. In ogni caso, la presenza della parola nel testo letto da Lotman non produce una continuità diretta: la sua elaborazione del concetto, negli anni Ottanta, nasce e si sviluppa come formulazione autonoma.
La situazione che emerge è quindi quella di un termine apparso più volte in modo indipendente: un primo nucleo precoce e ignorato, un uso isolato negli anni Settanta, un’estensione biologica negli anni Novanta e una grande costruzione teorica che, a partire da Lotman, lo renderà un riferimento internazionale. È proprio questa pluralità di origini a rendere significativo l’esito della ricostruzione di Kull: la semiosfera non è il prodotto di un’unica invenzione, ma la convergenza di tentativi differenti, alcuni rimasti nascosti per decenni, altri esplosi in ampiezza concettuale. L’idea che oggi consideriamo centrale nella semiotica culturale possiede dunque una storia più lunga e intricata, fatta di apparizioni inattese e recuperi tardivi, e trova nella sua pluralità di inizi una parte decisiva del suo significato.
Riferimento bibliografico: Kalevi Kull, The concept of semiosphere – Wallis before Lotman and Hoffmeyer, Sign Systems Studies, 53(1/2), 2025.
