La semiotica delle passioni si configura come un ampliamento interno alla teoria della significazione, senza assumere lo statuto di disciplina autonoma. È una direzione di ricerca che esplora i modi in cui stati, moti dell’animo e investimenti di valore entrano nella costruzione del senso. Isabella Pezzini osserva che questa prospettiva si radica nella cornice della semiotica strutturale, dove le passioni diventano elementi essenziali per descrivere il funzionamento del soggetto, gli stati che lo investono e le condizioni modali che determinano il suo rapporto con gli oggetti di valore.
Accanto all’impostazione greimasiana, la riflessione sulle passioni può essere affrontata anche attraverso altre tradizioni teoriche. L’approccio di area peirciana, sviluppato in Italia soprattutto nell’insegnamento di Umberto Eco, mette in evidenza un’altra via per comprendere il “passionale”, attraverso concetti come il pragmaticismo, l’interpretante e processi di semiosi che coinvolgono soggetto, mondo e forme dell’esperienza. In questa prospettiva, i moti affettivi non vengono intesi come fenomeni psicologici, ma come configurazioni semiotiche che emergono nei processi interpretativi e nelle pratiche discorsive. Anche discipline vicine — come l’etnometodologia, la teoria della letteratura o la storia dell’arte — mostrano come il “passionale” agisca nella costruzione del testo, nella definizione della soggettività e nelle forme di interazione.
Il dialogo con la tradizione filosofica è un elemento decisivo per comprendere la struttura del “passionale”. Le teorie classiche, da Cartesio a Leibniz, da Spinoza a Tommaso d’Aquino, vengono considerate come un archivio concettuale ricco di classificazioni lessicali già sedimentate. Questi repertori non vengono assunti come fondamenti psicologici, ma come “tesauri” che raccolgono il modo in cui le culture hanno organizzato le passioni: tassonomie, opposizioni, nuclei concettuali che possono essere reinterpretati alla luce del modello semiotico.
La persistenza dell’opposizione attività/passività, tematizzata fin dall’età classica; la figura del soggetto inquieto, non ancora congiunto all’oggetto di desiderio; il carattere intensivo di alcuni moti timici: tutti questi elementi sono riconoscibili come materiali concettuali “semi-lavorati”, utili per individuare i principi di funzionamento dei sistemi passionali. La fenomenologia di Merleau-Ponty contribuisce ulteriormente a definire i “primitivi” timici, come l’opposizione euforia/disforia, che diventano la base degli investimenti di valore nelle strutture profonde del senso.
L’interesse per i dizionari e per il lessico non dipende da esigenze terminologiche, ma dall’idea che le lingue naturali conservino una memoria strutturata delle equivalenze semiche. Le definizioni, considerate come espansioni di determinazioni, rendono visibili le articolazioni concettuali che una cultura attribuisce alle passioni. In questa prospettiva, un lessema non è semplicemente una parola, ma un dispositivo che sussume un modello virtuale del funzionamento della figura di significazione che designa. Il lavoro sul lessico permette quindi di individuare non solo la denominazione delle passioni, ma anche la loro logica semantica.
Questa visione apre la possibilità di pensare ai sistemi passionali non come a elenchi di emozioni, ma come a campi di possibilità descrittive. La semiotica mira così a individuare i principi profondi che regolano la costruzione delle configurazioni timiche e i modi in cui esse si articolano nei testi, nelle pratiche culturali e nelle interazioni. Ne risulta un quadro in cui il “passionale” non è un contenuto psicologico, ma un effetto di senso costruito attraverso strutture formali, investimenti di valore e processi di significazione.
Riferimento bibliografico: Isabella Pezzini (a cura di), Semiotica delle passioni. Saggi di analisi semantica e testuale, Meltemi.
