Per Jean Petitot, il fenomeno-nucleo su cui si fonda la semiotica strutturale è quello della discontinuità qualitativa: articolazione, segmentazione, opposizione. È questo il cuore di ciò che chiama un’estetica trascendentale della discontinuità. Il senso stesso, per come è pensato dalla semiotica, assume la forma di una discontinuità nello spazio del contenuto: valori che si distinguono, si contrappongono, si articolano in relazione.
Non si tratta però di una discontinuità empirica o percettiva ingenua. Petitot chiarisce che la forma del senso è una forma spaziale, ma non nel senso dell’estensione fisica o dello spazio ordinario. Si tratta piuttosto di uno spazio puro, una forma ideale di spazialità astratta e preestesa, concetto che riprende esplicitamente da Gilles Deleuze. In un passaggio citato da À quoi reconnaît-on le structuralisme ? (1973), Deleuze affermava:
«Lo strutturalismo non è separabile da una nuova filosofia trascendentale, dove i luoghi prevalgono su ciò che li riempie»
e ancora:
«ciò che è strutturale è lo spazio, ma uno spazio non esteso, pre-estensivo, uno spazio puro».
Questa visione è centrale per comprendere la nozione di struttura nella sua valenza semiotica. Petitot la definisce come una configurazione topologica di valori posizionali, una forma d’idealità non simbolica, come nella logica formale, ma geometrica. In altri termini: la struttura non è una formula, ma una figura.
È a partire da questa idea che Petitot introduce la nozione di schematismo della struttura. Si tratta di uno schematismo che interpreta le categorie fondamentali della semiotica — le opposizioni formali come congiunzione/disgiunzione, identità/alterità, soggetto/oggetto, termine/relazione — non in chiave simbolica o linguistica, ma come intuizioni pure di tipo topologico. Questo schema trascendentale non è quindi un concetto, ma una forma configurativa.
Il progetto è rigoroso: si tratta di costruire una geometria della discontinuità, una topologia delle relazioni differenziali, capace di rendere formalizzabile il senso attraverso l’articolazione dei luoghi, delle soglie e delle soggettività attanziali. In questa prospettiva, il senso non è un’informazione o un contenuto, ma una forma di tensione posizionale.
Il problema cruciale, allora, diventa quello dell’esistenza o meno di una matematica capace di trattare le discontinuità qualitative. Petitot ricorda che la risposta è venuta, per lui, dalla teoria delle singolarità di René Thom: un sistema formale che, fin dagli anni ’50, permetteva di costruire modelli geometrici delle discontinuità e dei loro dispiegamenti, applicabili anche alle strutture linguistiche.
L’incontro tra la teoria semiotica di Greimas e la morfogenesi di Thom non è stato solo una coincidenza storica (tra il 1969 e il 1972), ma una congiunzione epistemologica. Come nota Petitot, molte grandi scoperte scientifiche avvengono proprio per interazione tra una teoria concettuale-descrittiva e una matematica “venuta da altrove”che si rivela adeguata. In questo caso, la matematica delle discontinuità ha incontrato la semiotica delle opposizioni.
Il risultato è un modello dove le categorie semiotiche non vengono solo assiomatizzate, ma schematizzate: non come proposizioni, ma come forme geometriche che ne incarnano la dinamica. La struttura diventa così una figura tensiva, spaziale, articolata — e il senso si configura nello spazio, non nella linearità del linguaggio.
Riferimento bibliografico: Jean Petitot, Phénoménologie de la structure, in Greimas aujourd’hui : l’avenir de la structure.