Eric Landowski ricorre all’esempio del cinema per distinguere tra due forme di figuratività: una legata al regime della lettura, l’altra alla presa del senso. Immagina due spettatori che assistono allo stesso film ma ne traggono esperienze radicalmente diverse. Il primo, «spettatore-lettore», analizza meticolosamente stile, trama, personaggi, riferimenti intertestuali. Il secondo, definito provvisoriamente «spettatore-sentimentale», si lascia trasportare dalle immagini e dai suoni, piange, si commuove, ma confessa di non aver colto le inverosimiglianze narrative, né le allusioni culturali.
Landowski osserva che il secondo spettatore «non ha capito un’acca», ma ha vissuto un’esperienza sensibile intensa. Ha sognato il film più che guardarlo, immergendosi in un flusso di percezioni e associazioni. Non si tratta semplicemente di sentimentalismo, precisa l’autore, ma dell’accesso a un altro regime di significanza. Qui non conta ciò che il film “vuole dire”, ma «quanto esso apporta di nuovo all’arte di raccontare una storia in immagini».
Questa differenza esperienziale si riflette nella distinzione tra due tipi di figuratività: la figuratività di superficie, relativa a figure attoriali, spaziali o temporali riconoscibili, e la figuratività profonda, che riguarda le qualità plastiche immanenti al discorso visivo. La prima è quella a cui si rivolge il lettore competente, che cerca di connettere indizi e ricostruire la struttura narrativa. La seconda è quella che tocca direttamente il soggetto attraverso colori, ritmi, movimenti, suoni: è un’esperienza di senso che non si lascia tradurre in termini discorsivi, ma che si impone nella sua immediatezza.
Landowski cita Greimas, ricordando un celebre passaggio in cui lo studioso parlava di una «lingua altra», un «linguaggio secondo» che non passa per la designazione o la codifica, ma che ci parla attraverso la presenza sensibile degli oggetti e delle forme. Il senso plastico, in questa prospettiva, non è un’aggiunta decorativa alla narrazione, ma una fonte primaria di significanza. Lo stesso Greimas, infatti, arriva a definire la narrazione come «rumore da superare» per poter cogliere le articolazioni profonde dell’oggetto.
Il cinema, in quanto arte sincretica, mostra con chiarezza questa tensione tra i due regimi. Quando l’occhio del ricevente non cerca più di decifrare il testo, ma si apre alla dinamica estesica delle immagini, la significazione non è il fine, ma un residuo possibile. Il soggetto diventa allora un «ricevente dallo sguardo perso» ma con «tutti i sensi all’erta».
Per Landowski, l’esperienza estetica non si oppone alla razionalità, ma ne mostra un’altra forma: una «ragione sensibile» che si manifesta anche nei gesti, nelle smorfie, nei sorrisi appena accennati, capaci di suscitare interpretazioni narrative o di generare affetti che precedono ogni lettura. A volte, è proprio la presa sensibile a creare un terreno favorevole alla lettura; altre volte, è la significazione costruita che normalizza o blocca il flusso del senso sperimentato.
Riferimento bibliografico: Eric Landowski, Unità del senso, pluralità di regimi.