Paolo Fabbri presenta la Semantica strutturale di Algirdas Julien Greimas come un libro che accompagna chi lavora nei sistemi e nei processi di significazione. Lo considera un punto fermo della semiotica del secondo Novecento, attribuendo a Greimas il ruolo di “maggior semiologo” di quel periodo. Non si tratta soltanto di un riconoscimento storico: ciò che emerge è l’idea di un’opera che continua ad agire come guida, quasi come una presenza che segue il lettore lungo il percorso della ricerca.
Fabbri osserva che gran parte del lessico fondamentale della disciplina — dalla forma del contenuto all’attante, dal sema all’isotopia, fino alla sintassi narrativa — proviene proprio da questo libro. Non è solo una questione terminologica: questi strumenti descrittivi costituiscono il nucleo del “saper fare” semiotico, l’insieme delle operazioni teoriche e analitiche che definiscono il modo in cui il ricercatore costruisce e interpreta i fenomeni di significazione.
La forza del testo non si misura sulla sua reperibilità editoriale: Fabbri sottolinea che, pur agendo in modo quasi invisibile, esso resta un punto di origine, un riferimento ineludibile che continua a orientare la pratica semiotica. L’espressione secondo cui il libro è “presente come un ‘segno zero’, indelebile e come scritto in inchiostro simpatico” indica la natura profonda e sotterranea della sua influenza: un’opera che non si impone come monumento visibile, ma come struttura di base, come condizione stessa della pratica semiotica contemporanea.
Questa modalità di presenza, che unisce assenza editoriale e centralità teorica, definisce lo statuto particolare della Semantica strutturale. Il testo non è solo un classico nel senso tradizionale, ma una sorta di matrice che informa il campo, un dispositivo che permette di pensare e lavorare all’interno del paradigma della significazione.
Riferimento bibliografico: Paolo Fabbri, “Introduzione” a A. J. Greimas, Semantica strutturale, Meltemi, Roma, 2000.
