Ogni segno che connette un significante a un significato si colloca all’interno di una struttura articolata su due piani: quello dell’espressione e quello del contenuto. All’interno di ciascun piano, si distinguono una forma e una sostanza, oltre alle relazioni paradigmatiche e sintagmatiche. Questa articolazione consente di comprendere come il linguaggio naturale funzioni secondo una logica complessa, capace di produrre significati molteplici a partire da un numero finito di elementi.
L’analisi dell’espressione linguistica
Nel linguaggio naturale, il piano dell’espressione può essere scomposto in unità minime che svolgono ruoli distintivi. L’elemento più piccolo dotato di significato è il monema (o morfema), che corrisponde grossomodo alla parola tradizionalmente intesa. Tuttavia, è possibile scendere a un livello ancora più elementare: quello del fonema, cioè l’unità minima non significativa, ma capace di distinguere significati.
Il criterio per identificare i fonemi è la cosiddetta prova di commutazione: se sostituendo un suono con un altro cambia il significato della parola, allora si è in presenza di fonemi distinti. Così, passando da /belle/ a /pelle/, si modifica radicalmente il significato, a conferma che /b/ e /p/ sono fonemi distinti in italiano.
I fonemi non hanno un significato proprio, ma sono unità differenziali, e il loro numero in una lingua è generalmente limitato. A essi corrispondono tratti distintivi, cioè caratteristiche fonologiche rilevanti nella lingua data (ad esempio, “sonoro/sordo”, “occlusivo/esplosivo”, ecc.). Volli sottolinea che le lingue scelgono in maniera arbitraria quali tratti considerare pertinenti: per esempio, la distinzione tra /c/ dura e aspirata è irrilevante in italiano ma fonologicamente significativa in tedesco o nelle lingue semitiche.
Il contenuto e i suoi elementi
Se sul piano dell’espressione l’unità minima è il fonema, sul piano del contenuto è il lessema, ossia l’unità dotata di significato stabile, come “cane”. A differenza del fonema, però, il lessema non è ulteriormente scomponibile secondo criteri universali: le componenti semantiche che lo costituiscono, dette semi, non sono finite né standardizzabili. Esse rappresentano tratti astratti come “animale”, “mammifero”, “quadrupede”, ma la loro individuazione è sempre teorica e contestuale.
Questa differenza rende evidente la non simmetria tra i due piani: gli elementi minimi dell’espressione sono più facilmente identificabili e classificabili rispetto a quelli del contenuto. Ne risulta una struttura complessa e stratificata, in cui i livelli del significato non corrispondono direttamente a quelli dell’espressione.
La doppia articolazione
La lingua naturale è definita come un sistema doppio-articolato:
- al primo livello (articolazione primaria), i monemi si combinano tra loro per formare espressioni dotate di significato;
- al secondo livello (articolazione secondaria), i fonemi si combinano per formare monemi, pur non possedendo significato in sé.
Volli afferma che questa doppia articolazione costituisce una delle condizioni principali della non conformità delle lingue naturali, distinguendole da sistemi più semplici (come il codice dei semafori), nei quali ogni elemento ha un significato univoco e diretto.
I sistemi doppiamente articolati sono detti linguistici, o secondo Hjelmslev, semiotiche: strutture autonome in cui la significazione nasce dall’opposizione differenziale tra unità formali, tanto sul piano dell’espressione quanto su quello del contenuto.
Riferimento bibliografico: Ugo Volli, Manuale di semiotica, Roma-Bari, Laterza, 2000.