Una delle domande fondamentali della semiotica riguarda il confine tra ciò che può essere considerato un segno e ciò che non lo è. Umberto Eco, già nel Trattato di semiotica generale (1975), ha posto con precisione il problema dei limiti inferiori della semiosi, distinguendo tra stimoli naturali e segni veri e propri.
Secondo Eco, uno stimolo può essere considerato un segno solo quando vi sia una convenzione che lo faccia stare in luogo di qualcos’altro. In mancanza di una risposta istituita per convenzione – e dunque di una libertà interpretativa – uno stimolo, pur producendo effetti, non può dirsi semiotico. Ciò che distingue un processo semiotico da una mera reazione causale è infatti lo spazio di mediazione: uno scarto temporale che introduce una possibilità di scelta, una zona intermedia, denominata spazio C, in cui l’interpretazione può aver luogo.
Il valore dello “spazio C”
Nella riflessione successiva, Eco ha precisato ulteriormente il modello triadico: un processo semiosico richiede che uno tra due elementi (A o B) sia assente, e che un terzo elemento (C) istituisca la relazione segnica tra essi. Il segno, in questo schema, non è quindi una mera relazione binaria ma un sistema a tre componenti, in cui la libertà interpretativa svolge un ruolo decisivo. Il modello si oppone dunque a un determinismo di tipo stimolo-risposta, valorizzando lo scarto, il margine di indeterminatezza, come condizione per la semiosi.
Questo contributo di Eco ha il merito di abbassare la soglia del semiotico, includendo nel dominio della semiosi fenomeni non linguistici. Ma resta una questione aperta: lo spazio C è ancora descritto come spazio intra-soggettivo, interno all’organismo singolo. È la mente individuale che interpreta, esercitando la propria libertà.
Limiti dell’approccio internalista
Secondo Violi, questo approccio internalista rischia di trascurare una componente fondamentale: la relazione. In effetti, nel modello di Eco, lo spazio C non tiene conto delle dinamiche interattive tra organismo e ambiente. L’ambiente rimane sfondo, contesto di stimoli, ma non viene interrogato come luogo di co-costruzione del senso. Si tratta, afferma Violi, di un modello a un posto, in cui il processo interpretativo resta confinato all’interno dell’organismo, senza implicazioni intersoggettive.
Questa visione si ritrova anche in molte teorie contemporanee della mente, in particolare in quelle che rientrano sotto l’etichetta di “teorie della mente”: esse tendono a identificare il cognitivo con il mentale, escludendo la dimensione corporea, affettiva, e relazionale. Violi definisce questo approccio mentalista e internalista – due caratteristiche che, in realtà, si sostengono a vicenda: focalizzando l’attenzione solo sulla mente, si finisce per escludere l’ambiente e l’altro.
Una prospettiva relazionale
La proposta alternativa è quella di pensare il senso come prodotto di una relazione. Non come qualcosa che “sta nella mente” o “nelle cose”, ma come il risultato di una tensione dinamica in un campo intersoggettivo, dove l’interpretazione nasce dal fare insieme. Questo significa invertire il percorso: non più dalla mente al mondo, ma dal mondo alla mente. Un’intuizione che Violi riconduce sia a Wittgenstein che a Vygotskij.
In quest’ottica, la distinzione fra interno ed esterno diventa più permeabile, meno netta: la semiosi è il frutto di un’interazione costitutiva tra soggetti e ambiente, non una proiezione individuale sul mondo. Sensazione, azione, relazione, corporeità e senso si intrecciano fin dalle prime esperienze.
Oltre la mente singola
Accogliere questa prospettiva significa riformulare l’intera architettura epistemologica della semiotica: non più una disciplina fondata sulla rappresentazione mentale, ma un sapere attento alla co-costruzione del significato nell’azione condivisa, nella reciprocità, nello scambio. Il senso non nasce nell’isolamento cognitivo di un soggetto, ma nello spazio della relazione.
È in questo contesto che si può cominciare a pensare davvero una proto-semiotica: una teoria delle forme primarie di senso che non sia speculazione astratta sulla coscienza individuale, ma attenzione alle dinamiche interattive, materiali, corporee, affettive. Un modo per “abbassare” davvero la soglia del semiotico, restituendo complessità e pluralità ai modi in cui diamo senso al mondo.
Riferimento bibliografico: Patrizia Violi. Il senso prima del linguaggio. Appunti per una proto-semiotica