Umberto Eco introduce una riflessione metalinguistica su un termine ricorrente ma problematico nel lessico della semiotica, della filosofia del linguaggio e della logica dei linguaggi naturali: presupposizione. In apertura, egli definisce questo termine come un “termine-ombrello”, paragonabile a nozioni altrettanto vaste come iconismo o isotopia. Sono concetti che sembrano offrire un’utile copertura teorica, ma che finiscono per includere fenomeni molto eterogenei quanto alla loro natura semiotica.
Il punto di partenza è che ogni testo, in quanto “macchina pigra”, esige “dal lettore un fiero lavoro cooperativo per riempire spazi di non-detto o di già-detto rimasti per così dire in bianco”. In questo senso, “il testo altro non è che una macchina presupposizionale”. La funzione del testo, quindi, non è quella di esprimere esplicitamente tutto ciò che comunica, ma di mobilitare nel lettore un insieme di inferenze basate su conoscenze pregresse, connesse al contesto e alla cultura.
Eco riconosce che il termine “presupposizione” è stato usato per designare fenomeni molto diversi: “referenziali, semantici, pragmatici e molte altre”. L’esempio che egli propone per chiarire questa pluralità è la frase:
La Monaca di Monza era nubile, ma non le faceva certo difetto il gusto di violare il voto di castità.
Questa singola espressione attiva una fitta rete di presupposizioni:
- Presupposizione referenziale: si assume che esista, in qualche mondo, un individuo che corrisponde all’identità della Monaca di Monza.
- Presupposizione semantica: dicendo che era nubile, si presuppone che non fosse sposata, sulla base di regole lessicali.
- Presupposizione pragmatica e enciclopedica: collegare il “voto di castità” al fatto che si trattava di una monaca implica conoscere norme religiose e culturali che regolano il comportamento monacale.
Vi sono poi operazioni di coreferenza: per esempio, stabilire che il pronome “le” si riferisce alla Monaca, o che l’articolo determinativo (“il voto”) rinvia a qualcosa di già noto o atteso. Tutte queste operazioni rientrano in quella che Eco definisce la disponibilità della conoscenza di fondo, e rappresentano gradi diversi di reticenza testuale.
Infine, c’è un’ulteriore presupposizione, legata all’avverbio “ma”: il testo presuppone una contrapposizione rispetto a un topic precedente, e attiva quindi una dinamica discorsiva di opposizione. È la stessa struttura che Eco aveva analizzato in dettaglio nell’esempio dell’avverbio “invece”.
Tutti questi fenomeni possono essere ricondotti, in senso lato, sotto la categoria di “presupposizione”, ma solo a patto di accettare che essa funzioni come una nozione ombrello, non come un termine tecnico univoco. Scrive Eco: “si può continuare a parlare di presupposizione, perché infine qualcosa unifica pur sempre questi processi così diversi, ed è appunto il fatto che un testo è sempre in qualche modo reticente”.
Il compito dell’analisi testuale diventa allora quello di “sceverare gradi e livelli di questa reticenza”. Non tutte le presupposizioni sono uguali, né si collocano sullo stesso piano: alcune sono grammaticali, altre culturali, altre ancora narrative.
Riferimento bibliografico: Umberto Eco, Lector in Fabula. La cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Milano, Bompiani, 1979.
