Nel modello proposto da Jurij Lotman, le emozioni non si limitano a regolare i comportamenti individuali, ma costituiscono il fondamento stesso delle relazioni politiche. La coppia vergogna/paura si articola, infatti, in due registri distinti: la vergogna si accompagna all’onore e struttura il legame interno al gruppo; la paura, invece, si connette alla coercizione e caratterizza il rapporto con l’altro, con il potere.
Franciscu Sedda osserva che questa asimmetria è teoricamente rilevante: da un lato c’è una passione nobile, che produce legami fondati sul riconoscimento reciproco; dall’altro, un meccanismo impositivo, che presuppone la subordinazione, il timore, l’obbedienza forzata. Il quadro si complica ulteriormente se si considerano le configurazioni storiche in cui questi dispositivi emotivi si inseriscono. Lotman stesso, nelle sue riflessioni sul potere e sulla cultura sovietica, evoca un contesto in cui la speranza è stata cancellata dalla paura.
Sedda mette in relazione questa condizione con quella del homo sovieticus, e in particolare del pensatore libero, costretto alla reticenza, alla “mezza verità”, alla paura di essere denunciato, licenziato, umiliato pubblicamente o arrestato. In una situazione in cui il regime ha svuotato l’utopia, trasformandola in strumento di controllo, l’onore emerge come risposta etica e culturale al terrore. È l’onore, inteso come dignità personale, a fondare la possibilità di una resistenza intellettuale e di un dissenso non individualista ma profondamente umano.
Ne è esempio il ruolo attribuito da Lotman ai Decabristi, protagonisti di un ideale di libertà radicato nella dignità e nel rispetto di sé. In un intervento televisivo del 1987, egli afferma: “I Decabristi erano individui che avevano rispetto di sé, e questa è una qualità sempre indispensabile. Perché chi ha rispetto di sé è un individuo libero. E, essendo libero, desidera la libertà anche per gli altri”. Questo passaggio viene accompagnato da versi del poeta Nekrasov che esaltano “la felicità delle anime nobili” come la capacità di gioire della felicità altrui.
L’onore, dunque, non è mai isolato: si declina in una configurazione emotiva più ampia, che include l’onestà, la nobiltà d’animo, il rispetto di sé. In questo contesto, anche la cultura può essere intesa come una passione sui generis: “la cultura, tra le altre cose, esiste per questo, per analizzare e disperdere le paure”, afferma Lotman. La cultura come dispositivo di liberazione non si oppone solo alla coercizione politica, ma alla paura stessa come modalità dominante del legame sociale.
Sedda interpreta questa prospettiva come un tentativo di Lotman di tracciare una via intermedia tra il potere totalitario, che annulla l’individuo, e l’individualismo cieco, che dissolve ogni legame. La persona, con la sua dignità e la sua libertà, diventa il nucleo etico di un modello sociale fondato sull’uguaglianza, sul riconoscimento reciproco e sulla solidarietà. Questo modello, per via di una lunga traduzione storica, rinvia idealmente all’immagine del cittadino greco, libero e competitivo, ma sempre orientato al bene collettivo. Come ricorda Jean-Pierre Vernant, la democrazia ateniese si radicava in una “cultura della vergogna e dell’onore”.
Riferimento bibliografico: Franciscu Sedda, “Semiotics of Conflict: From Lotman to Semiopolitics”, TLU Press, Tallinn 2024.
