Umberto Eco, nella sua trattazione dei modi di produzione segnica, chiarisce che gli oggetti registrati nella tavola secondo il parametro rapporto tipo-occorrenza non sono “segni”. Piuttosto, rappresentano «abbreviazioni comode» che potrebbero essere esplicitate come azioni o procedimenti: ad esempio, al posto di /impronte/ si dovrebbe dire /produrre impronte/; al posto di /vettori/, /imporre un movimento vettoriale/.
Al massimo, osserva Eco, si può dire che impronte o esempi sono «oggetti fisici che, a causa di certe loro caratteristiche formali, si prestano a entrare in una correlazione segnica diventando così dei funtivi». Ancora più precisamente, dal punto di vista semiotico, si tratta di insiemi di tratti, che «possono o non possono veicolare un contenuto a seconda del sistema in cui sono inseriti».
Può accadere quindi che tali oggetti funzionino talora come segni (ovvero come significanti), e talora no.
Eco ribadisce che la tavola proposta elenca entità fisiche e procedimenti ordinabili alla funzione segnica, ma che potrebbero sussistere anche se tale funzione non fosse istituita. Tuttavia, aggiunge, è evidente che «essi vengono prodotti per significare», e il modo in cui sono prodotti «li rende adatti a significare dei contenuti specifici».
Un esempio significativo è costituito dall’espressione verbale /i mass media/. Essa è, secondo Eco, «il risultato di due dei procedimenti elencati in figura», ciascuno dei quali dipende da un doppio rapporto tipo-occorrenza. In particolare, essa è «composta di due unità combinatorie organizzate in successione vettoriale». Invece, un dito puntato è contemporaneamente un vettore e una unità combinatoria.
Ne deriva che entità come vettore e proiezione non sono tipi di segni, come lo erano, ad esempio, gli “indici” o le “icone”. Infatti, scrive Eco, «sia le proiezioni che le impronte possono apparire come icone», ma «le prime implicano un continuum scelto arbitrariamente» e «le seconde un continuum motivato». Entrambe, tuttavia, sono governate da ratio difficilis e «sono motivate dal tipo del contenuto».
Ciononostante, mentre le impronte sono «riconosciute», le proiezioni sono «inventate». Allo stesso modo, impronte e vettori sembrano simili a “indici”, ma «dipendono da due diversi rapporti tipo-occorrenza».
Eco osserva infine che alcune categorie, come quella dei campioni fittizi, «cadono sotto due rubriche per quanto riguarda il lavoro implicato», essendo «il risultato sia di una ostensione che di una replica».
Riferimento bibliografico:
U. Eco, Trattato di semiotica generale, Bompiani, Milano 1975.